di Don Antonino De Maria
Carissimi amici e fratelli nel presbiterato, carissimi responsabili delle associazioni laicali della nostra Arcidiocesi,
appena nominato direttore dell’ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso – un abbraccio fraterno e grato va a don Nunzio Capizzi con il quale abbiamo percorso questo tempo e rifondato l’ufficio – sono stato coinvolto nell’organizzazione del Tempo del creato che inizia il I settembre con la Giornata Mondiale di preghiera per la cura del creato e si conclude nella nostra Arcidiocesi quest’anno il 2 ottobre.
Per grazia di Dio anche in questo caso non devo cominciare da zero: dal 3 ottobre 2020 si è formato il Circolo Laudato Si- La casa comune, frutto della libera adesione di singoli ed associazioni e movimenti già sensibili ai temi della cura del creato. Insieme a loro abbiamo presentato al nostro Arcivescovo alcune possibili iniziative. Il circolo è sin dal suo nascere un’esperienza di collaborazione ecumenica e interreligiosa, una vera ricchezza per la nostra chiesa locale e per la nostra società.
La caratteristica di questo Tempo è da sempre ecumenica ed è sostenuta da Papa Francesco e dalla Conferenza episcopale italiana: il Papa ogni anno propone un messaggio che quest’anno ha come tema Ascoltare la voce del creato; anche la CEI, attraverso gli uffici per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e l’ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro ha lanciato un messaggio dal tema Prese il pane e rese grazie-Il tutto nel frammento, per invitare le comunità cattoliche e le altre comunità cristiane che aderiscono all’iniziativa a prendersi carico della Casa Comune, attraverso gesti di sensibilizzazione della società e delle nostre comunità: prendersi cura del creato non è cedere alle ideologie ecologiste ma realmente prendersi cura di quella Casa che il Signore ci ha donato e quindi anche prendersi cura dell’uomo nell’integralità della sua umanità: ci prendiamo cura di noi stessi, del nostro ambiente, delle nostre relazioni, delle nostre famiglie, dei nostri amici e soprattutto di chi vive in situazioni di difficoltà, non solo economica. Non è un tema secondario ma il frutto vero della nostra fede e della gratitudine verso il Signore, creatore e salvatore del mondo.
È molto importante, pertanto, coinvolgere i nostri fedeli a riconoscere la propria vocazione profetica in questo tempo e in questo mondo e a mettersi in ascolto del grido che emerge dal creato – usato e abusato – spesso senza renderci nemmeno conto che a perderci è l’uomo stesso. Se non lo facciamo noi chi lo dovrebbe fare?
Invito di cuore ciascuno a partecipare agli incontri che – tranne nel caso della passeggiata al Simeto – si terranno sempre intorno alle 19 e sono sparsi nel territorio della diocesi (cercheremo sempre più di individuare luoghi diversi dalla città). Promuovete e indirizzate la sensibilità dei giovani verso questi temi: è molto importante ed è un momento fortemente educativo e formativo. D’altra parte i nostri giovani sono più avanti di molti di noi in molte cose e possiamo aiutarli a comprendere che l’impegno sociale non è accessorio alla crescita nella fede, ma una conseguenza ricca di valore, secondo il mistero della carità.
Chiedo ai fratelli parroci un altro aiuto: abbiamo bisogno di raccogliere i dati della presenza di comunità cristiane nel nostro territorio: questo ci permetterà di raccogliere i frutti di un dialogo in atto e documentarlo oppure aprire nuove possibilità, nel contesto del cammino sinodale che è uno stile di chiesa e non un momento da vivere per un tempo.
Vi auguro buon cammino e vi ringrazio per la vostra collaborazione. In allegato troverete locandina e programma e i messaggi del Papa e della CEI che possono essere utilizzati per le celebrazioni delle comunità ( omelie, lectio etc).
«PRESE IL PANE, RESE GRAZIE» (Lc 22,19) Il tutto nel frammento
Quante cose sa dirci un pezzo di pane! Basta saperlo ascoltare. Purtroppo il pane ci sembra scontato: è talmente «quotidiano» da non attirare il nostro sguardo. Non si apprezza, si usa; non si guarda, si mangia. Lo consumiamo automaticamente, senza badarci.
In comunione con la Chiesa che è in Italia e che a Matera si prepara a celebrare il Congresso Eucaristico Nazionale dal titolo: «Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale», con la 17a Giornata per la Custodia del Creato desideriamo sottolineare alcuni aspetti fondamentali del pane, mettendoci in ascolto del Signore.
«Prese il pane…»
Ogni pezzo di pane arriva da lontano: è un dono della terra. È lei che ha prodotto il grano. Il contadino lo sa: ara, prepara il terreno, semina, irriga, miete… ma non è lui a produrre quei chicchi dorati. Anche oggi, nell’epoca della meccanizzazione, della grande distribuzione e della panificazione industriale, il pane rimane ciò che è da sempre. E quand’anche i ritrovati della tecnica soppiantassero la sapienza contadina e i talenti artigianali, il pane continuerebbe a parlarci della sua identità più profonda: quello di essere un’offerta della terra, da accogliere con gratitudine.
Quando Gesù prende il pane nelle sue mani, accoglie la natura medesima, il suo potere rigenerativo e vitale; e, dicendo che il pane è «suo corpo», Egli sceglie di inserirsi nei solchi di una terra già spezzata, ferita e sfruttata. Nelle concezioni mitologiche primordiali, che ancora trovano voce nel repertorio sapienziale di molte religioni, la coltivazione della terra era accompagnata dall’offerta di sacrifici come supremo principio di compensazione e ricostruzione di un ordine violato, antidoto allo sfruttamento selvaggio dei beni naturali. Gesù stesso, Pane vero, si fa «sacrificio», lasciandosi spezzare, affinché l’uomo e l’intero cosmo ritrovino un’armonia possibile e siano insieme trasfigurati nel frutto della redenzione. Gesù si fa dono, abilitando ciascuno di noi a spendersi per custodire la terra, per prendersi cura di un’umanità sofferente.
«Rese grazie…»
Gesù, dopo aver preso il pane nelle sue mani, pronuncia le parole di bene- dizione e rende grazie. È la gratitudine il suo atteggiamento più distintivo, nel solco della tradizione pasquale. Essere grati è, dunque, l’attitudine fondamentale di ogni cristiano, è la matrice che ne plasma la vita; più radicalmente, è la cifra sintetica di ogni essere umano: siamo tutti «un grazie che cammina». Nel cammino sinodale facciamo esperienza che l’altro e la sua vita condivisa sono un dono per ciascuno di noi.
Ogni giorno viviamo a motivo di ciò che riceviamo: chi non si sente grato diventa ingiusto, gretto, autocentrato e prevaricatore. È quanto ci insegna la parabola del «servo ingrato» (Mt 18,23-35). Siamo tutti a rischio di diventare come colui a cui è stato condonato un debito abnorme – diecimila talenti – ma, a sua volta, è incapace di fare grazia a chi gli doveva una quantità irrisoria di denaro. E questo perché non si è fatto realmente «sconvolgere» dalla generosità del padrone, né si è lasciato invadere dalla gratitudine: ha vissuto come se non avesse ricevuto nulla; ha continuato a pretendere, tenendo stretto per sé ciò che ha ricevuto, non come dono, ma come diritto. Più che ingiusto è stato ingrato.
Chi non è grato non è misericordioso. Chi non è grato non sa prendersi cura e diventa predone e ladro, favorendo le logiche perverse dell’odio e della guerra. Chi non è grato diventa vorace, si abbandona allo spreco, spadroneggia su quanto, in fondo, non è suo ma gli è stato semplicemente offerto. Chi non è grato, può trasformare una terra ricca di risorse, granaio per i popoli, un teatro di guerra, come tristemente continuiamo a constatare in questi mesi. Una guerra che distrugge la terra e limita la distribuzione del cibo. Siamo tutti a rischio di divenire ingrati e rapinatori; ingrati ed ingiusti. E questo rispetto alla creazione, alla società umana e a Dio.
«Lo spezzò…»
Prendere il pane, spezzarlo e condividerlo con gratitudine ci aiuta, invece, a riconoscere la dignità di tutte le cose che si concentrano in un frammento così nobile: la creazione di Dio, il dinamismo della natura, il lavoro di tanta gente: chi semina, coltiva e raccoglie, chi predispone i sistemi di irrigazione, chi estrae il sale, chi impasta e inforna, chi distribuisce. In quel frammento c’è la terra e l’intera società. Ci fa pensare anche a chi tende inutilmente la sua mano per nutrirsi, perché non incontra la solidarietà di nessuno, perché vive in con- dizioni precarie: c’è qualcuno che attende il nostro pane spezzato…
In particolare, spezzare il pane la domenica, Pasqua della settimana, è per i cristiani rinnovamento ed esercizio di gratitudine, per apprendere a celebrare la festa e tornare alla vita quotidiana capaci di uno sguardo grato. Come afferma Papa Francesco: «Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita, che è diversa da una semplice inattività. Si tratta di un’altra maniera di agire che fa parte della nostro essere. In questo modo l’azione umana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche dalla sfrenata voracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivo beneficio personale. La legge del riposo settimanale imponeva di astenersi dal lavoro nel settimo giorno, “perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero” (Es 23,12). Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri» (LS 237).
«Lo diede»
Mangiare con altri significa allenarsi alla condivisione. A tavola si condivide ciò che c’è. Quando arriva il vassoio il primo commensale non può prendere tutto. Egli prende non in base alla propria fame, ma al numero dei commensali, perché tutti possano mangiare. Per questo mangiare insieme significa allenarsi a diventare dono. Riceviamo dalla terra per condividere, per diventare attenti all’altro, per vivere nella dinamica del dono. Riceviamo vita per diventare capaci di donare vita. «L’Eucaristia è Gesù stesso che si dona interamente a noi. Nutrirci di Lui e dimorare in Lui mediante la Comunione eucaristica, se lo facciamo con fede, trasforma la nostra vita, la trasforma in un dono a Dio e ai fratelli» (Papa Francesco, Angelus 16 agosto 2015). La condivisione così può diventare stile di cittadinanza, della politica nazionale e internazionale, dell’economia: da quel pane donato può prendere forma la civiltà dell’amore.
Torniamo, dunque, al gusto del pane: spezziamolo con gratitudine e gratuità, più disponibili a restituire e condividere. Così ci è offerta la possibilità di sperimentare una comunione più ampia e più profonda: tra cristiani anzitutto, in un intenso respiro ecumenico; con ogni credente, proteso a riconoscere la voce di quello Spirito di cui la realtà tutta è impastata; con ogni essere umano che cerca di fondare la propria esistenza sul rispetto delle creature, degli ecosistemi e dei popoli.
Roma, 24 maggio 2022
VII anniversario dell’Enciclica Laudato si’
La Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace
La Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo