di don Giuseppe Longo
Domenica scorsa la comunità Parrocchiale S. Massimiliano Kolbe si è riunita per celebrare l’Eucarestia in ringraziamento al Signore per il dono di una testimonianza di fede cristiana incrollabile e per il 40° anniversario di servizio sacerdotale di don Salvatore Digeronimo. La comunità ecclesiale di Belsito, guidata dal parroco don Roberto Interlandi, e il movimento Comunione e Liberazione hanno accolto l’Arcivescovo Mons. Luigi Renna che ha voluto essere presente al giubileo sacerdotale di don Salvatore, il quale si è così rivolto ai presenti: “Sono profondamente grato al nostro Arcivescovo e a tutti voi per essere venuti qui a pregare e a ringraziare insieme con me il Signore per la ricorrenza dei miei quarant’anni di sacerdozio”.
Abbiamo rivolto a don Digeronimo alcune domande per venire a conoscenza di notizie più ricche circa la sua storia personale, la vocazione, il ministero pastorale:
Quando capisce chiaramente che Dio la chiamava al sacerdozio?
L’11 marzo del ’79, tornato dal servizio liturgico in S. Maria Maggiore a Roma, ascoltavo alla radio l’Angelus di Giovanni Paolo II che annunciava la sua prima enciclica Redemptor Hominis con queste parole: “Quando nel conclave dello scorso ottobre sono stato eletto Papa, ho capito che ciò che ha animato e anima continuamente i miei pensieri e il mio cuore e che già anteriormente erano andati maturando in me, durante gli anni del mio servizio sacerdotale, e poi di quello episcopale, tutto ciò lo devo mettere in comune con tutta la Chiesa. Vedo in ciò il compito centrale del mio nuovo servizio ecclesiale”.
Quelle parole mi fecero superare tutte le non poche obiezioni, le riserve e le perplessità che io avevo sulla mia vocazione sacerdotale. Capii cioè che la mia povera storia umana, così come si era svolta negli anni, con tutti i pregi e i limiti che mi portavo addosso, serviva comunque al Signore per il suo disegno. Allora mi sono arreso alla sua chiamata.
C’è stato qualcuno che lo ha introdotto alla conoscenza degli insegnamenti della Chiesa Cattolica?
Parlare della mia vocazione vuol dire parlare della storia della mia fede cristiana. Quella fede che ho appreso fin da quando ero sulle ginocchia di quella santa donna di mia madre, donna di grande testimonianza cristiana, che ha saputo dare a noi suoi figli, ai familiari e ai vicini di casa. La sua sconfinata fiducia nel Signore e la sua incrollabile speranza, nonostante innumerevoli, enormi e non facili difficoltà che ha dovuto attraversare nella sua vita, sono sempre rimasti scolpite davanti ai miei occhi e nell’intimo del mio cuore.
Ci sono stati degli esempi di vissuto di fede cristiana che hanno confermato in lei la vocazione sacerdotale?
Questa fede è stata rinnovata, sviluppata e sostenuta dall’incontro che ho avuto la grazia di avere, 50 anni fa, con dei maestri di vita e di fede, seguendo i quali ho imparato la corrispondenza tra la proposta cristiana e i problemi che la vita mi faceva attraversare. Di questi incontri il più decisivo è stato l’incontro con don Ciccio Ventorino e gli altri amici di Comunione e Liberazione, attraverso cui ho conosciuto un cristianesimo non di forma, ma di sostanza, non di regole ma di fascino, non un cristianesimo astratto, ma che aveva a che fare con i problemi reali della vita concreta: il mangiare e il bere, l’intelligenza e gli affetti, il lavorare o lo sposarsi, il nascere e il morire. Anch’io posso ripetere con il salmista: “Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio, sono stupende le tue opere”.
Su questo terreno di fede è spuntata, e poi nelle circostanze della storia e nella pazienza del tempo è fiorita, la vocazione al sacerdozio.
Potrebbe esporre per grandi linee l’iter del suo ministero sacerdotale?
Dopo la laurea presso l’università di Catania e gli studi teologici compiuti a Roma sono stato ordinato in Cattedrale, dal mai dimenticato Mons. Domenico Picchinenna, il 3 luglio 1982.
Oltre all’insegnamento di Religione cattolica presso l’Istituto Aeronautico di Catania, il Vescovo mi affidò da subito la responsabilità pastorale del territorio di Belsito e Poggio Lupo, dove poi è sorta la comunità parrocchiale intitolata a S. Massimiliano Kolbe. Perciò il mio ministero sacerdotale in questi quarant’anni è storicamente coinciso e cresciuto insieme alla storia della nostra parrocchia, fin da quando l’unico suo luogo fisico erano le suole delle mie scarpe. E dopo tanti anni son cominciati a spuntare e a vedersi i primi fili d’erba e i primi frutti.
Per alcuni dei presenti la fede cristiana si è rimessa in moto con un’adesione più matura e più responsabile nella vita, fino a sorpassare a volte la mia povera fede. Altro frutto è stata l’amicizia e la fraterna unità tra quanti si sono riconosciuti credenti nel Signore Gesù e hanno cominciato a prendere a cuore una responsabilità missionaria nel territorio di Belsito, per far conoscere la salvezza di Cristo a tanti altri che l’avevano dimenticata o congelata. Inoltre alcuni padri e madri di famiglia si sono coalizzati e messi insieme per venire incontro alle necessita della comunità parrocchiale: dalla costruzione edile, al garantire i servizi essenziali, nella responsabilità del catechismo, dell’oratorio o nel servizio di carità a persone o famiglie bisognose. La cosa più impressionante per me è stata vedere che tutti costoro, pur dentro i limiti e le fragilità, tutti hanno lavorato per amore a Cristo e alla sua chiesa, con la coscienza di costruire per i loro figli e i figli di tutto il popolo. Ma non posso non nominare l’ultimo frutto più recente, il miracolo della costruzione di questo vasto complesso parrocchiale.
Ci sono dei momenti particolari che sono rimasti impressi più di altri nella sua memoria?
Veramente c’è di che ringraziare il Signore per questi quarant’anni. All’omelia della mia prima Messa dicevo, citando il re Davide “Chi sono io o Signore perché tu mi abbia fatto arrivare fino a questo punto? E cosa potrebbe chiederti di più il tuo servo? Per amore della tua parola e secondo il tuo cuore hai compiuto tutte queste grandi cose”. Per la cronaca e la storia ho scoperto poi per caso che questa stessa frase era stata scelta da S. Massimiliano per l’immaginetta della sua ordinazione. A quarant’anni di distanza posso ripetere con più verità e con più meraviglia questa gratitudine a Dio per quello che ha sviluppato nella storia per sua grazia, in me e attorno a me.
Nell’omelia di inaugurazione della Parrocchia, svoltasi in un locale di fortuna, un magazzino cortesemente prestato per un sabato pomeriggio, dissi: “Anche qui a Belsito, un popolo nuovo darà lode al Signore!”. Adesso, dopo 40 anni, il popolo cristiano di Belsito ha anche un posto al coperto dove dar lode al Signore.
Quali dovrebbero essere, a suo avviso, le prospettive pastorali per la comunità di Belsito?
Ma il lavoro pastorale è appena agli inizi. Rispetto al lavoro avviato in questi quarant’anni, la responsabilità pastorale, con la guida del nuovo e dinamico parroco, don Roberto, che ringrazio per la stima, la fraterna amicizia e il sostegno che mi ha offerto, la missione pastorale può e deve crescere sempre di più in qualità e quantità per portare la presenza di Cristo ‘accanto alle case’ di tanti abitanti che ancora non lo conoscono o lo hanno dimenticato o rifiutato. L’accorato appello di Cristo: “ho altre pecore che non sono di quest’ovile, anche queste io devo condurre” ci sia di incitamento continuo nella crescita della fede e possa trovare risposta nella nostra disponibilità e fedeltà a seguirlo e nella nostra testimonianza dentro la società che ci circonda.