di Don Antonino De Maria
I Vescovi italiani nel Messaggio ai Presbiteri, ai diaconi, alle persone consacrate e consacrati e a tutti gli operatori pastorali del 29 settembre 2021 hanno segnato i passi del cammino sinodale per il decennio 2021-2030 e di questo va tenuto conto per comprendere il significato e la direzione di ogni passo, di ogni gesto che in questi anni vivremo. Rendendoci conto della totalità del percorso segnato: momenti, tappe e soprattutto direzione e meta diventa più intellegibile quello che stiamo vivendo. Innanzitutto partendo dall’idea che non si tratta di un momento della storia ma della realizzazione dell’ecclesiologia di comunione del Concilio Vaticano II che per certi aspetti è ancora zavorrata da immagini di Chiesa che erano adatte in un periodo passato ma che non costituiscono una sorta di età dell’oro alla quale doversi riferire come il modello migliore.
Così ci scrivono i nostri Vescovi: “ Le nostre Chiese in Italia sono coinvolte nel cambiamento epocale; allora non bastano alcuni ritocchi marginali per mettersi in ascolto di ciò che, gemendo, lo Spirito dice alle Chiese. Siamo dentro le doglie del parto. È tempo di sottoporre con decisione al discernimento comunitario l’assetto della nostra pastorale, lasciando da parte le tentazioni conservative e restauratrici e, nello spirito della viva tradizione ecclesiale – tutt’altra cosa dagli allestimenti museali – affrontare con decisione il tema della “riforma”, cioè del recupero di una “forma” più evangelica; se la riforma è compito continuo della Chiesa (“semperpurificanda”: Lumen Gentium 8), diventa compito strutturale, come insegna la storia, ad ogni mutamento d’epoca: La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità (Evangelii Gaudium 33). Il discernimento comunitario dunque riguarda le decisioni da prendere non solo nei confronti della società e del mondo, ma anche, contemporaneamente, nei confronti della vita stessa della comunità. Il Papa esorta ad un ripensamento a tutto tondo, attraverso una logica che non può che essere quella pasquale: occorre il coraggio di sottoporre alla verifica delle Beatitudini obiettivi, strutture, stile e metodi, perché la parola di Dio possa correre più libera, senza inutili zavorre. Oltre che domandarsi “perché?”, la logica pasquale si chiede “per chi?”, esaminando finalità e strumenti con i criteri spirituali della “salvezza” più che con quelli mondani dell’“efficienza”; allora le persone ferite, povere, allontanate, sprovvedute e umiliate dalla vita – i protagonisti delle Beatitudini – diventano i punti di riferimento della riforma delle nostre comunità.”
Ciò esige che dai commenti al Concilio si passi in una prassi comunionale e unitaria alla sua attuazione: cosa significa questo? È una conversione che ha come punto di partenza la Parola di Dio vivificante nello Spirito che traduce l’evento di Cristo risorto nell’oggi della Chiesa. Non dunque un cambiamento, riforma come dare forma alla luce del Vangelo, che si adegua alle forme mondane ma che sempre si adegua al Cristo vivo che interpella e chiama alla conversione e alla benedizione questa generazione, l’uomo di quest’epoca, come si legge in Atti 3, 11-27, e con un linguaggio accessibile all’uomo di oggi, anch’esso frutto di una storia e non semplicemente di “oggi”. È nell’ottica dell’ oggi di Dio che è presente per sempre come dice la Lettera agli Ebrei e non nell’ottica della contrapposizione ma del cammino che accade nella realtà, nelle relazioni, nelle mentalità, nelle culture come si manifestano oggi, in questo tempo. La Chiesa non si parla addosso, felice e orgogliosa della propria diversità, ma è chiamata all’annuncio, proprio a partire dal suo Chi è e nella consapevolezza del per chi.
“ Il fatto che la Chiesa si attua attraverso una communio personarum impone che la comunione ne costituisca, a tutti i livelli, il principio strutturante. Non c’è realtà della vita della Chiesa – dal ministero episcopale fino al carisma dell’eremita – che non abbia come forma propria e come legge o dinamica interna quella della communio”.[1]
Se questo è vero molte comunità ecclesiali sono ancora indietro e zavorrate dal passato come abbiamo detto e quindi la fase dell’ascolto che stiamo vivendo (2021-2023) è una grande occasione di discernimento ecclesiale, prima ancora sul da farsi, piuttosto su a che punto siamo: coinvolge tutti, ovunque. Scrivono i Vescovi: “La dimensione del racconto è per sua natura alla portata di tutti, anche di coloro che non si sentono a loro agio con i concetti teologici: ed è per questo che sarà privilegiata nel biennio che si apre. Nel primo anno (2021-22) vivremo un confronto a tutto campo sulla Chiesa, percorrendo le tracce proposte dal Sinodo dei Vescovi; nel secondo anno (2022-23), come già chiese il Papa a Firenze, ci concentreremo sulle priorità pastorale che saranno emerse dalla consultazione generale come quelle più urgenti per le Chiese in Italia. Prima ancora dei documenti, sarà questa stessa esperienza di “cammino” a farci crescere nella “sinodalità”, a farci vivere cioè una forma più bella e autentica di Chiesa.” Ascoltare i gemiti dello Spirito è ascoltare e vivere le doglie del parto, suggeriscono i nostri vescovi con una bella metafora. Si possono comprendere quali sono le priorità se si è vissuto bene questo momento dell’ascolto, senza falsi protagonismi. L’unico protagonismo accettabile è quello dell’opera di Cristo in noi e delle domande che pone a noi stessi.
Ci sarà un tempo sapienziale (2023-2025) per riflettere sulla narrazione delle esperienze e giungere a delle conclusioni e consegneremo al Papa a cui è affidato il compito del discernimento finale, i nostri sogni e i nostri impegni. Succederà un tempo di traduzione vissuto ad opera del Popolo di Dio mantenendo al centro del decennio – in corrispondenza del probabile Giubileo del 2025 – la convocazione nazionale, nella modalità che si chiarirà strada facendo. In conclusione: “Non sappiamo dove ci condurrà questo cammino sinodale: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8). Sappiamo però quanto ci basta per partire: se ci lasceremo condurre umilmente dal Signore risorto, a poco a poco rinunceremo alle nostre singole vedute e rivendicazioni e convergeremo verso “ciò che lo Spirito dice alle Chiese”.
Non dobbiamo temere la fatica quanto più invocare lo Spirito e metterci in cammino lasciandoci condurre, tutti, lì dove il Soffio di Dio vuole portarci.
[1] Angelo Scola, Chi è la Chiesa?, Querinina 2005, p. 270