di Giuseppe Adernò
Il 20 aprile è la data che ricorda la nascita al cielo di Don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta , “servitore” della Parola.
Figlio di una famiglia del Salento, trascorse l’infanzia in Alessano, un paese prevalentemente a economia agricola. Ordinato Sacerdote l’8 dicembre 1957 si è dedicato all’Azione Cattolica, vicario episcopale per la pastorale diocesana . Parroco della chiesa di Tricase istituì la Caritas e dedicò la sua attenzione ai poveri, agli emarginati, agli ultimi, a quanti vengono considerati “scarti” della società.
Il 30 ottobre 1982 fu consacrato Vescovo della diocesi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi e sin dagli esordi, il suo ministero episcopale fu caratterizzato dalla rinuncia a quelli che considerava segni di potere, portava la croce di legno e la fede della mamma con la croce. Promosse la costituzione di gruppi Caritas in tutte le parrocchie della diocesi, fondò una comunità per la cura delle tossicodipendenze, lasciò sempre aperti gli uffici dell’episcopio per chiunque volesse parlargli e spesso anche per i bisognosi che chiedevano di passarvi la notte.
Sua la definizione di “Chiesa del grembiule” per indicare la necessità di farsi umili e contemporaneamente agire sulle cause dell’emarginazione.
La metafora del grembiule è stata adoperata anche da un sindaco nel corso della cerimonia di insediamento del consiglio comunale dei ragazzi, dicendo che la fascia tricolore che il sindaco indossa è come il grembiule del servizio da offrire alla comunità cittadina.
Nel settembre 1990 fondò a Molfetta, coadiuvato dal movimento Pax Christi, la rivista mensile Mosaico di Pace e da messaggero di Pace promosse la marcia a Sarajevo ed oggi avrebbe promosso una marcia a Kiev in Ucraina, per dimostrare che “La violenza non porta da nessuna parte”, come ha scritto Giancarlo Piccinni, nel volume: “Don Tonino sentiero di Dio”.
Morì a Molfetta il 20 aprile 1993, e l’anno successivo gli fu conferito alla memoria il Premio Nazionale Cultura della Pace.
La sua tomba è meta di pellegrinaggi, visitata anche da Papa Francesco il 20 aprile 2018, giorno del 25º anniversario di morte,
Le sue massime, come” La vita ci è donata per cercare Dio, la morte per trovarlo, l’eternità per possederlo”, i suoi pensieri, le preghiere, le metafore, le immagini di eventi visibili e invisibili e i commenti al Vangelo, che a volte sfiorano l’aura della poesia, guidano ancora oggi la catechesi e vengono spesso citate nelle omelie.
Profeticamente scomodo, si è sporcato le mani ed ha dato alla sua vita e al suo ministero una specifica nota di servizio e di pastoralità, smontando ”le finte sicurezze cementate da paure e rimorsi”.
“Cireneo della gioia” ha scritto nello stemma “Ascoltino gli umili e si rallegrino”, propose una chiesa semplice, povera, essenziale e ricca di segni che avvicinano a Cristo. Per Don Tonino il povero era il luogo cristologico e teologico attraverso cui Gesù Cristo si rivela e la dalmatica del servizio è l’abito che non bisogna mai dismettere.
Educatore dei giovani, all’insegna della libertà dal fascino perverso del denaro ha insegnato a liberarsi dalla tre “p”: potere, profitto e prestigio, indossando il grembiule del servizio e da pedagogo e araldo della pace, vero terziario francescano, ripete costantemente l’invito e il monito a “stare in piedi, costruttori di Pace”, come lo è stato Giorgio La Pira, sindaco di Firenze.
Don Tonino non è stato un “profeta di sventura”. La dimensione orizzontale della fede, per il prete salentino, “incrocia sentieri scomodi, ma che vanno percorsi rispondendo in primo luogo alla domanda su cosa stia succedendo nel mondo”.
L’invito alla concordia, alla cooperazione, al camminare insieme diventa esplicito nell’osservazione che “Gli uomini sono angeli con un’ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati”.