L’Arcivescovo di Catania Monsignor Luigi Renna ha incontrato alcuni rappresentanti del mondo universitario catanese all’interno della Basilica Collegiata Maria Santissima dell’Elemosina in Via Etnea. Presente il Magnifico Rettore Prof. Francesco Priolo, alcuni docenti, una folta rappresentanza di studenti e parte del personale tecnico-amministrativo. Ad accoglierli, il direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale Universitaria don Antonino Sapuppo. Di seguito riportiamo per intero le parole dell’Arcivescovo:
Magnifico Rettore, chiarissimi Docenti, distinti Responsabili della amministrazione, carissimo Cappellano, carissimi studenti, è con sentimenti di ammirazione che presiedo questa Eucarestia per voi, perché sono consapevole che questa assemblea è composta da uomini e donne che, nel solco di una tradizione accademica che ha profonde radici nella storia, con rinnovato vigore, oggi continuano la loro prestigiosa opera formativa e di ricerca in modo eccellente. Vengo a voi sapendo che la ricchezza di una Università è data dalla varietà delle sue Facoltà e dei suoi Dipartimenti, che contribuiscono in maniera unitaria a dare alla società del nostro tempo quelle competenze che ci permettono di edificare il presente e il futuro.
In prossimità della Pasqua, e in un momento storico nel quale stiamo sentendo vicini a noi i rumori di un conflitto assurdo, che sconvolge equilibri politici che pensavamo essere solidi, credo che la comunità accademica sia come tutta investita da un compito: ritrovare nella ricchezza dei saperi che trasmette, il non-senso della guerra e il senso della pace.
Nelle università medievali, attingendo a Agostino e illuminati dal pensiero di Tommaso d’Aquino, è stata elaborata una teoria di guerra giusta, che era essenzialmente la giustificazione di una guerra di difesa, con uso proporzionato di armi. Ma dopo il secondo conflitto mondiale e l’uso enormemente distruttivo della bomba atomica, sono nati dei dubbi che al sostantivo guerra, si possa aggiungere l’aggettivo giusta: la portata mondiale dei conflitti, l’uso di ordigni che potenzialmente potrebbero distruggere l’intero pianeta, la speranza che un nuovo ordine internazionale potesse riconoscere nell’ONU un arbitro autorevole, hanno portato alla consapevolezza che le strade da seguire sono quelle della negoziazione e del disarmo. In un messaggio che ha fatto scuola nella Dottrina sociale della Chiesa, papa Giovanni Paolo II ha auspicato che il disarmo fosse generale, equilibrato e controllato, e che, fosse applicato lo spirito di sufficienza, in virtù del quale uno Stato può possedere unicamente i mezzi necessari per la sua legittima difesa”(Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 508).
Cosa è stata la ricerca di vie che fossero alternative alla guerra, se non un grande processo di educazione alla pace, che in una comunità accademica raggiunge il suo livello più alto? Essa è un dovere per tutti gli uomini e donne di buona volontà,e per il cristiano una scelta che è esigita dal Vangelo. Oggi è stato proclamato il brano del Vangelo secondo Luca dal quale emerge il comportamento di Gesù Cristo nella Passione che celebriamo in questi giorni. Nel momento dell’arresto nel Gestemani Egli si offre, come una creatura inerme, al bacio dell’amico Giuda che lo aveva venduto ai suoi nemici, e quando si arriva al ricorso alle armi, Egli in maniera decisa ferma chi ha impugnato la spada e guarisce uno dei suoi aggressori. In questo brano e in altri passi del Vangelo, come quello delle Beatitudini, contempliamo lo stile non violento di Cristo, che proclama beati gli operatori di pace e invita a pregare per i nemici: “La pace offerta da Cristo è il frutto della sua decisione, libera e amorosa, di dare la vita sino al termine estremo della morte di croce, accompagnata dal perdono per i crocifissori: “Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia… per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia” (Ef 2,14-16). (CEI, Educare alla pace, 1998, 16). La pace è il dono più grande del mistero pasquale, tanto che l’evangelista Giovanni, quando narra la prima apparizione del Risorto, mette sulla sua bocca la prima espressione con cui Gesù Cristo saluta i suoi apostoli: Pace a voi!”(Gv 20,19).
Quello che nella fede è uno stile di vita, per voi uomini e donne del mondo della cultura diventa motivo di ricerca e un sapere che illumina il momento presente: penso soprattutto al diritto, alle scienze politiche, alla pedagogia, che ci aiutano a comprendere la complessità che ogni conflitto ha in sé e le vie per superarli. In questo momento storico le Università possono contribuire all’educazione e alla edificazione della pace in modo unico, in ragione della loro vocazione accademica. Alcuni anni fa, una Nota Cei sull’educazione alla pace, delineava alcune condizioni per tale progettualità, che possono diventare altrettanti ambiti di ricerca.
Il primo ambito nel quale si educa alla pace è una cultura della legalità, della mediazione, della soluzione dei conflitti attraverso percorsi di reinserimento e riconciliazione. In modo particolare le soluzioni di mediazione tendono a sanare le ferite della coscienza che vengono inferte in tempo di guerra e che divengono focolai di altre guerre in tempi di pace, quando le popolazioni continuano anche per secoli a considerarsi nemiche.
La seconda è la cultura politica democratica, nella quale la competizione si colloca sul piano del confronto democratico fra progettualità diverse e non assume la forma della contrapposizione preconcetta e senza scambi fra blocchi.
Un’ultima realtà che non può non essere coinvolta in un sapere che educa alla pace, è la visione economica: “Anche l’economia infatti è una realtà strutturalmente conflittuale, perché si trova a soddisfare bisogni molteplici con risorse sempre limitate e perché la distribuzione dei beni è talora inestricabilmente legata a rapporti di forza.” (ivi, 23)
Carissimi, mentre vi auguro una Santa Pasqua che vi rigeneri spiritualmente e che rinnovi la vostra vita personale e familiare nel mistero del Cristo Morto e Risorto per la nostra salvezza, auspico che la pace sia il dono più grande di cui possiate godere ovunque, e che voi stessi possiate essere “operatori di pace, autentici figli di Dio”. Mi piace concludere questa mia omelia con uno splendido testo, tratto dal “Lamento della pace” di Erasmo da Rotterdam:
“Come può’ il soldato pregare “Padre nostro”? Faccia di bronzo, osi chiamarlo Padre, tu che tenti di uccidere tuo fratello? “Sia santificato il tuo nome”: ma come si può disonorare il nome di Dio se non nelle vostre contese? “Venga il tuo Regno”: così preghi, tu che a prezzo di tanto sangue, edifichi la tua tirannide? “Sia fatta la tua volontà”: Lui vuole la pace, tu prepari la guerra. Il pane quotidiano domandi al Padre comune, tu che dai alle fiamme le messi del fratello, e preferisci che vadano in rovina anche per te, piuttosto che giovino a lui? Ora perché dici a parole “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, tu che ti affetti al fratricidio? Scongiuri ilo pericolo di tentazione, tu che a tuo pericolo trascini il tuo fratello nel pericolo. Chiedi di essere liberato dal male, da quel male che ti spinge a macchinare per il fratello il sommo male? Platone dice che non si deve chiamare guerra quella che i Greci muovono contro i Greci. E’ una sedizione, dice. E per i cristiani è addirittura santa quella guerra, che per qualsivoglia causa con tali cristiani e tali armi il cristiano conduce contro il cristiano?”
Se tale lamento si è levato nel cuore nell’Europa in pieno Umanesimo, come non nascerà ancora nell’età dei diritti e di tante conquiste dell’umanità?