Carissimi fratelli nell’episcopato,
Eccellenza Signor Prefetto e distinte Autorità civili e militari,
carissimi fratelli e sorelle del popolo di Dio che è in Catania,
carissimi presbiteri, diaconi, religiose e religiosi, seminaristi,
vi ringrazio per la vostra presenza a questa celebrazione Eucaristica, durante la quale mi inserisco, in qualità di pastore, nel cammino di Chiesa che è iniziato tanti secoli fa in questo splendido lembo di Sicilia che guarda ad Oriente. Se per me oggi è il giorno dell’ingresso nella Diocesi, per voi è il giorno dell’accoglienza del nuovo Vescovo e vi chiedo di avere nei miei confronti quei sentimenti gentili e ospitali di chi apre le sue porte a chi viene nel nome del Signore Gesù per servire come Egli ha insegnato a fare. Ho trovato già questa calorosa accoglienza nel cuore del fratello Arcivescovo Salvatore Gristina, che mi ha aperto non solo le porte della dimora dei pastori catanesi, ma il suo stesso cuore: a lui vada il mio e vostro grazie per anni vissuti nella fedeltà e nella dedizione alla Sposa di Cristo che è in Catania. Cari confratelli nell’episcopato, Eminenza e Vescovi delle Chiese di Sicilia, grazie per la vostra fraterna presenza, preludio di una comunione e di una cura del popolo di Dio che ci vedrà camminare a fianco, con lo stile che Gesù ha voluto per i suoi discepoli, inviati “a due a due”, come autentici testimoni, oltre che maestri di sinodalità. Grazie a voi, fratelli originari della Sicilia e di questa Chiesa di Catania, o chi qui vi siete formati: la testimonianza della guida del gregge di Dio in altre Diocesi, è il segno di una comunità ecclesiale che manifesta anche attraverso di voi la sua fecondità. Questa mattina ho bussato anche alle porte del carcere di Bicocca, ai ragazzi e adulti, perché volevo che tra le prime persone ad accogliermi ci fossero quelli che hanno bisogno di considerazione e cura, i primi nel Regno dei cieli, a cui non vorrei che il volto della Chiesa catanese rimanesse estraneo. Il Signore che ci accoglierà un giorno nella Dimora eterna e ci dirà: “Ero carcerato, e siete venuti a trovarmi” (cf Mt 25,36), oggi ha il volto di questi nostri fratelli e di chiunque ci chiede di avere un cuore accogliente e misericordioso, capace di dare speranza e non lasciare indietro nessuno.
Vengo a voi come pellegrino e straniero e allo stesso tempo come cittadino
Non vi sembrino contraddittorie queste espressioni. Vengo come pellegrino dalla Puglia, la terra dove sono nato, divenuto cristiano, presbitero e vescovo; laddove molti hanno lasciato la loro impronta di affetto e di cura nella mia esistenza. Vengo da Minervino Murge, il mio paese natale, adagiato sulle colline pietrose della Murgia, dove i miei genitori e la mia famiglia mi hanno donato la vita, l’amore che rende sicuri nell’affrontare il futuro, e amici d’infanzia, laici e presbiteri- persino un siciliano indimenticabile direttore didattico- mi hanno dato tutto ciò che segna in maniera indelebile l’ esistenza di un uomo. Vengo da Andria, città della mia prima formazione al presbiterato e del mio ministero per circa vent’anni: quella andriese è una Chiesa di grande tradizione di fede, che ha già dato un pastore a Catania, mons. Felice Regano, e che mi ha insegnato a crescere nell’attenzione ai segni dei tempi e nella cura di tutti gli ambiti della vita pastorale. Un pensiero commosso e grato al Vescovo che mi ha ordinato presbitero, mons. Raffaele Calabro, e a preti, diaconi, seminaristi e laici che sono ancora, anche se in modo diverso, compagni di cammino. Vengo da Molfetta, con il suo Seminario Regionale e la Facoltà Teologica, che mi hanno fatto respirare la preziosità della formazione nella vita dei presbiteri e, attraverso di essi, di tutto il popolo di Dio. Vengo infine da Cerignola-Ascoli Satriano, la Diocesi che continuo ad amare perché in essa ho imparato a servire la Chiesa da pastore. Quella porzione scelta del popolo di Dio, che “soffre, combatte e prega”, come direbbe il Manzoni, attraverso la sua testimonianza costante e fedele, soprattutto nell’amore per i poveri e i fratelli immigrati, mi ha dato certamente più di quanto io abbia dato a lei. La so in mani sicure, sotto la guida sapiente dell’Amministratore apostolico S. E. mons. Francesco Cacucci. Ognuno di questi luoghi è nella mia memoria popolato di volti sui quali invocherò sempre la benedizione dell’Altissimo.
Oggi questo pellegrino giunge a voi con la compagnia di questi fratelli che mi affidano a voi: mia sorella, mio fratello, i cognati e i nipoti, i miei numerosi familiari, che sono presenti con la discrezione che li caratterizza; i miei cari confratelli della mia terra, i Vescovi di Bari-Bitonto, Lecce, Conversano-Monopoli, Teano-Calvi ed Avezzano, con il vicario generale di Andria, fratelli indimenticabili e premurosi, che mi insegnano come si amano i fratelli nel presbiterato e nell’episcopato, e come si serve il popolo di Dio. Sono con me laici e presbiteri: i Sindaci di Cerignola. di Ascoli Satriano, di Minervino e di Andria, con i quali ho condiviso la passione per il bene comune; i presbiteri della mia Chiesa d’origine e della Chiesa che ho servito, insieme ad alcuni laici. Ringrazio l’emittente televisiva Teledehon e il suo direttore padre Mazzotta, che mi permette di farmi accompagnare dalla preghiera di chi ci segue via etere, soprattutto gli ammalati.
Vengo a Catania da pellegrino e mi sento già cittadino; da oggi sono catanese come voi. Ma rimarrò in qualche modo sempre straniero. Cosa significa tutto questo, se non quello che un antico autore, dei tempi dei primi cristiani come sant’ Agata, nella lettera a Diogneto scriveva dei battezzati: “Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri;(…) ogni regione straniera è loro patria, eppure ogni patria per essi è straniera.(…) Insomma , per parlar chiaro, i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”. Se uno è cristiano, considera ogni angolo della terra la sua patria, ed ogni uomo o donna che incontra in essa, compagno nel cammino: non esistono luoghi estranei per i figli di Dio! Ogni patria però è straniera perché è sempre piccola cosa rispetto al Regno di Dio che non ha confini e che è proiettato alla Gerusalemme celeste, il paradiso. Per questo motivo per noi credenti non dovrebbero esistere il campanilismo, la discriminazione, il disprezzo per le altre culture, perché siamo cittadini del Regno di Dio, ospitali verso ogni uomo ed ogni donna che abita la Terra. Il Signore ci ha chiamati ad essere cittadini di una regione, la splendida Sicilia, che è vocata particolarmente ad essere ospitale, soprattutto per chi è disperato e bussa alle porte della nostra Europa: noi siamo cristiani e ci sentiremo sempre a disagio quando uno straniero viene respinto o muore! Sarò catanese, facendomi carico insieme a voi del bene di questa terra e di chiunque in essa cercherà pace e sicurezza. In queste poche ho visto già i segni dell’opera dello Spirito nell’evangelizzazione, nella carità, nella cura della celebrazione dei Divini misteri.
Vengo a voi da fratello
La Parola di Dio, nel Nuovo Testamento, ci insegna uno stile nuovo per definire le relazioni umane, quello della fraternità. San Paolo, si rivolge ai credenti in Cristo con una familiarità che non nega la sua vocazione di Apostolo, ma neppure la sua appartenenza all’unico popolo di Dio. Quante volte nelle sue lettere utilizza espressioni simili: “Vi esorto fratelli…” Gesù Cristo aveva raccomandato ai suoi discepoli: “Ma voi non fatevi chiamare “rabbi”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli” (Mt 23, 9). E’ un invito di non poco conto, che non dovrebbe mai essere dimenticato anche quando nella nostra vita acquisiamo una responsabilità. La fraternità è, grazie a Dio, un sentimento presente nelle altre religioni, come dimostra il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune sottoscritto da papa Francesco con lo Sceicco Al- Tayebb; il concetto di fraternità è presente in costituzioni che propugnano la difesa della dignità di ogni uomo. Ma non possiamo dimenticare quello che il papa stesso ci ha detto ed è ineludibile per noi cristiani: “Altri bevono ad altre fonti. Per noi, quella sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel vangelo di Gesù Cristo. Da esso “Scaturisce per il pensiero cristiano e per l’azione della Chiesa il primato dato alla relazione, all’incontro con il mistero sacro dell’altro, alla comunione universale con l’umanità intera come vocazione di tutti” (Fratelli tutti, 277). Come vedete, è il Vangelo di Gesù Cristo che esige che io venga a voi come fratello e, con voi, consideri tali tutti gli uomini. Noi cristiani possiamo comprendere meglio la fraternità alla scuola di Gesù Cristo quando riascoltiamo la parabola del Buon Samaritano (cf Lc 10,25-37) l’esempio di uno straniero che si fa prossimo, perché è capace di provare compassione, di prendersi cura, di impiegare il suo tempo e le sue risorse economiche per un uomo abbandonato. La fraternità è lo stile di vita del cristiano e da essa si irradia la sua autentica bellezza, fatta di carità, di amicizia sociale, di misericordia. E’ la stessa misericordia che Davide usa nei confronti del re Saul che lo stava perseguitando, come abbiamo ascoltato nella Prima lettura: invece di ucciderlo nel sonno per vendicarsi, egli non alza la sua mano per uccidere chi è “consacrato” al Signore (cf I Sam 26,2.7-9.12-13.22-23). E’ la stessa misericordia che Gesù Cristo insegna da avere verso i nemici: “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male” (Lc 6,27). La misericordia spezza ogni catena di violenza ed è ciò che cambia davvero il mondo e le società inclini alla violenza. Questa virtù ha reso e renderà sempre più questa nostra Sicilia terra di testimonianza cristiana, come ai tempi di Agata. Qui, su questa nostra isola, sono state pronunciate parole di perdono da tanti che hanno perso una persona cara per mano violenta: voglio ricordare solo che quando un mio coetaneo, di solo un anno più grande di me, fu ucciso dalla mafia mentre svolgeva il suo compito di agente di scorta del giudice Falcone, sua moglie, ai funerali, disse parole sofferte, ma di perdono. Io credo che ogni volta che parole di misericordia raggiungono il cuore di chi ha sbagliato, o sorrisi carichi di mitezza come quello di don Pino Puglisi di fronte al suo carnefice, si rinnova il miracolo della testimonianza dei martiri, e il seme di una nuova umanità viene gettato nei solchi della nostra bella terra. Permettete che citi un passaggio di un romanzo siciliano, in cui un grande scrittore, Leonardo Sciascia, sottolinea l’incongruenza di un cristianesimo mediocre e di facciata. Ne Il giorno della civetta c’è un famoso dialogo tra un commissario e un indagato per mafia: “Certi suoi amici dicono che lei è religiosissimo”- afferma il commissario- “Vado in Chiesa, mando denaro agli orfanotrofi…”- risponde l’altro-. “Crede che basti?” “Certo che basta: la Chiesa è grande perché ognuno ci sta dentro a modo proprio”. No, non si può stare nella Chiesa come si vuole, con la mediocrità e il compromesso, magari con l’odio e la vendetta, o con il carrierismo e la mondanità spirituale che vuole occupare tutti gli spazi! Non si può stare nella Chiesa a modo proprio, senza farle del male e renderla poco credibile! Vengo a voi perciò come fratello che vuole, non senza di voi, diffondere una cultura della misericordia e dell’amicizia sociale, del servizio e della prossimità, dell’adesione al Credo e della credibilità. La parabola del Samaritano che ci indica fraternità e dialogo, è la stessa che ci accompagna da quando san Paolo VI, ci consegnò i testi del Vaticano II, il 7 dicembre 1965, con queste parole: “L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha pervaso. La scoperta dei bisogni umani (…) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni(…): anche noi, più di tutti, siamo i cultori dell’uomo”. Sì. Il Buon samaritano ci insegna la via infallibile della carità nel credere e nell’agire, per attuare una riforma della Chiesa che il Concilio ha avviato e che ci vede oggi più che mai umili protagonisti.
Vengo a voi da vescovo
Non sarei qui se non mi avesse nominato papa Francesco, a cui va la mia gratitudine per la fiducia accordatami e la mia docilitas – quella che ho sempre raccomandata ai seminaristi- al suo insegnamento. Faccio professione di comunione vera e leale con lui, il Vescovo di Roma che presiede nella carità le Chiese di tutto il mondo. Cari confratelli Vescovi della Conferenza episcopale siciliana, grazie ancora della vostra affettuosa accoglienza: aiutatemi a vivere quella collegialità che, in comunione con il papa, è la più bella testimonianza che possiamo dare alle nostre Chiese, nell’unica Chiesa di Gesù Cristo, primizia del Regno di Dio. Vengo a voi, cari fratelli e sorelle della Arcidiocesi di Catania, da vescovo, ma pur sempre con il passo del pellegrino e con lo stile del fratello Nella Chiesa ci sono diversità di carismi e ministeri, ed io sono stato chiamato, senza mio merito, in questo tempo magnifico, ad essere pastore dell’antica Chiesa di Catania, che una tradizione fa risalire all’invio nella città, da parte di San Pietro, del vescovo Berillo di Antiochia. Al di là di ogni tradizione, sentiamo che la successione degli apostoli rimane fondata sulla salda Roccia che è Cristo, non importa se sia nata Duemila anni fa, o nel XXI secolo, come accade in alcune parti del mondo. Il giorno della consacrazione, al vescovo vengono consegnate le insegne episcopali: l’anello, la mitria, il pastorale. Ma cosa sarebbero queste insegne se prima di esse non gli fosse stato consegnato il Vangelo con queste parole: “Ricevi il Vangelo e annuncia la Parola di Dio con grandezza d’animo e dottrina”? L’anello per custodire nell’integrità della fede la sposa di Cristo, la mitria perché possa splendere il Lieto annuncio, il pastorale per pascere nella carità del Vangelo. Tutto parte dal dono dello Spirito Santo e dalla consegna del Vangelo! Il Concilio ricorda che il Vescovo ha il munus di santificare e di guidare la Chiesa, ma afferma: “Tra le funzioni principali dei vescovi eccelle la predicazione del Vangelo” (Lumen gentium 25). C’è una priorità che riguarda il Vescovo, ma è di tutta la Chiesa, ed è criterio dell’edificare la Chiesa! Dall’annuncio del vangelo e dal suo ascolto nasce la fede, prende forma la carità, e alla sua luce si intravede la speranza Vangelo. Dal Vangelo la Chiesa impara ad essere come il Suo Signore colei che fa proprie “le gioie e le speranze, le tristezze le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto” (Gaudium et spes). Solo una adeguata evangelizzazione può portarci a comprendere la bellezza dei sacramenti che celebriamo. Dopo il Concilio l’esempio di santi vescovi ha dato forma a questo ministero: come non ricordare il primato della Parola e della formazione nel ministero del Cardinal Martini? O la profezia dei gesti e delle parole, belle come un poema, di cui negli anni di formazione sono stato diretto testimone, quella del Venerabile don Tonino Bello? O come non tener conto che quel “amoris officium” che è il “pascere dominicum gregem”, ha trovato oggi forma nei vescovi martiri come san Oscar Arnulfo Romero, che don Tonino Bello definì “vescovo fatto popolo”? Sono contento di essere vostro pastore nel tempo del Concilio e di questi pastori che per noi tutti sono esempi come lo fu san Carlo dopo Trento, e il Beato Giuseppe Agostino Dusmet, uomo di grande carità, nel secolo XIX.
Sono vescovo per voi e cristiano con voi in un tempo magnifico, quello del cammino sinodale, che sarà una nuova primavera conciliare, se lo vivremo appieno. Continueremo a viverlo nella conversione dell’ascolto reciproco, nel narrarci come sentiamo la nostra appartenenza ecclesiale e la nostra missione, come vediamo il nostro futuro di Chiesa. Non può essere un percorso facoltativo o della durata di qualche mese! No, è stile di Chiesa che riforma se stessa alla luce del Vangelo! Nella sinodalità i laici sono chiamati a riscoprire la loro corresponsabilità e la loro missione nel mondo; i presbiteri il loro ministero che diventa autorevole nella misura in cui sa ascoltare il popolo di Dio e promuove la vocazione di ciascuno; i religiosi e le religiose quello che regole antichissime, come quella benedettina, e costituzioni più recenti, testimoniano fraternità, apertura allo Spirito nel discernimento, volontà casta, povera ed obbediente di non perpetuare potere nelle mani di pochi.
Il compito dell’annuncio del Vangelo può incontrare battute di arresto e difficoltà, così come ci dicono gli Atti degli Apostoli nella loro conclusione. In Atti 28, 30-31 si narra che san Paolo viene arrestato e vive a Roma in una casa presa in fitto, ricevendo solo quelli che vengono da lui, e annunciando il Vangelo “con tutta franchezza e senza impedimento”. Sembra che l’annuncio del Vangelo sia giunto al capolinea, eppure quegli ultimi versetti ci dicono che continua la sua corsa, nonostante le limitazioni dell’apostolo e la sua prigionia. Anche in tempi bui, come questi segnati dalla crisi della pandemia, il Vangelo ci illumina. E’ cosi che sogno il mio cammino con voi, da vescovo: caratterizzato dall’ annuncio evangelico con franchezza, l’evangelica parresia, senza edulcorazioni che ne tradirebbero la bellezza. E “senza impedimento”, così come lo annunciò Filippo all’eunuco (At 8,36) e Pietro a Cornelio (10,47;11,17), lasciando che la forza dello Spirito e quella del Vangelo edifichino la Chiesa, annuncino nel nostro mondo il Regno di Dio e ne facciano intravedere i bagliori luminosi.
Buon cammino! La Vergine Maria, Madre di Cristo e della Chiesa, sia la stella fulgida sulla nostra strada, e la martire Agata interceda affinché possiamo essere testimoni di Cristo nel nostro tempo, con “ tutta franchezza e senza impedimento”.