di Don Antonino De Maria

In un suo saggio del 1961 sulla teologia del concilio J. Ratzinger scriveva: “Il termine sinodos significa originariamente (…) il compagno di viaggio. Ignazio dice agli Efesini che essi sono tutti «sinodoi», compagni di viaggio, così come sono teoforoi naoforoi, christoforoi, -portatori di Dio, del tempio, di Cristo. Lo stesso uso linguistico si trova ancora negli Atti di Tommaso, in cui viene tramandata come esortazione apostolica l’esclamazione: «[….] Credi in Gesù […] Ti possa egli diventare compagno di viaggio [sinodos] lungo il cammino pericoloso egli ti condurrà nel suo regno».[1] Nello stesso testo la Chiesa è descritta come mediazione della presenza viva della Parola di Dio nel mondo, la sua tenda.

Queste immagini che fanno riferimento da una parte all’esperienza dell’Esodo come realtà viva della chiamata di Dio a diventare il suo popolo, nel quale la tenda di Dio cammina tra le tende degli uomini e diviene la tenda che guida le tende degli uomini, Dio si fa viandante e sta tra gli uomini, in comunione. La comunione è infatti la relazione che si instaura tra Dio e gli uomini e tra  gli uomini. Dio si fa prossimo, viandante insieme agli uomini nella loro storia, nel loro tempo-spazio, in una relazione libera e liberante, amando e suscitando amore.

Questa realtà è molto più di una metafora: ci dice qualcosa di Dio. Perché nell’essere compagno di viaggio Dio si apre all’uomo, prendendolo nel suo Sé senza mai annullarlo, anzi svuotandosi (Fil 2) per fargli spazio; ponendosi in ascolto e preparando quel dialogo che permette alla Parola di essere accolta. Gli uomini imparano a farsi spazio accogliendosi nel gesto di Dio di svuotarsi, di incamminarsi insieme a loro. Questo mistero si è pienamente compiuto nell’incarnazione della Parola creatrice che “svela l’uomo all’uomo” ( GS 22).

Ciò appare iconicamente nella pericope dei discepoli di Emmaus (Lc 24): in questo testo i due viandanti vivono in una condizione di perdita della speranza, di oscuramento. Qualcuno aveva suscitato in loro una speranza ma non ne avevano capito il senso e il loro andare ha solo apparentemente una meta ma non un compimento. Cristo si fa viandante, compagno di viaggio dei due discepoli e, innanzitutto, si mette in ascolto della loro perdita, del loro dolore, del loro dramma; entra in sintonia con il loro vissuto per aprirsi gradualmente e illuminare con la sua presenza e il suo parlare questa storia, affinché possano ritrovare la vita, uscire dal senso di perdita e ritrovare una meta come compimento e nuovo inizio, tornando lì dove il Viandante si rende presente, dove il dramma diventa gioia e felicità, comunione con Dio e tra fratelli.

La comunione dunque è innanzitutto avvenimento dell’accoglienza del Viandante e del modo di relazionarsi del Viandante con ciascuno: è in questa esperienza che impariamo a riconoscere ogni viandante come fratello, a fargli spazio, a dedicargli ascolto e continuare a camminare insieme. Lì dove il Viandante svela il suo volto, dove prende dimora facendo della sua casa la tenda fraterna che, a sua volta, è il prototipo di ogni tenda, di ogni dimora umana. La comunione, perciò, è dono del Risorto, dell’Amore trinitario e non ideale umano. Nel dono comunionale del Risorto, Chiesa-Eucarestia, la vita dell’uomo si fa cammino verso la pienezza del Regno. Niente che abbia la sembianza della staticità ma la dinamica della vita. Niente che sembri qualcosa di volubile ma la fecondità del seme che cresce e si rinnova in nuovi frutti.

Se siamo aperti a questo darsi dello Spirito allora questo sinodo sarà veramente l’occasione di passare dal lamento delle mancanze all’esperienza della resurrezione, di una vita straripante, sovrabbondante. E ognuno fattosi viandante diventa teoforo, cristoforo in un mondo che attende l’esplodere di una vera novità.


[1] Opera Omnia, 7/1, p. 92, LEV 2016

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