di Don Antonino De Maria
“Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. Concedimi, Signore, di conoscere e capire se si deve prima invocarti o lodarti, prima conoscere oppure invocare. Ma come potrebbe invocarti chi non ti conosce? Per ignoranza potrebbe invocare questo per quello. Dunque ti si deve piuttosto invocare per conoscere? Ma come invocheranno colui, in cui non credettero? E come credere, se prima nessuno dà l’annunzio?. Loderanno il Signore coloro che lo cercano?,perché cercandolo lo trovano, e trovandolo lo loderanno. Che ioti cerchi, Signore, invocandoti, e t’invochi credendoti, perché il tuo annunzio ci è giunto. T’invoca, Signore, la mia fede, che mihai dato e ispirato mediante il tuo Figlio fatto uomo, mediante l’opera del tuo Annunziatore.”
Inizia così l’opera forse più letta di Agostino, Le Confessioni, nella quale guarda alla propria storia, al proprio cammino di fede, simile a quello di molti che hanno incontrato Dio attraverso il Figlio di Dio incarnato e si sono lasciati condurre nell’esperienza ecclesiale a partecipare di un mistero, di una Vita che travolge, libera e compie. Perché l’uomo che incontra Cristo non soltanto parzialmente o in modo sentimentale o intellettuale o moralistico o addirittura ideologico scopre la bellezza del proprio io, il proprio valore nell’essere amato; in un Tu che si accorge di te e ti ama senza giudizio ne pregiudizio perché quel Tu che ti ha cercato, trovato è il Tu che cercavi e che, a volte disperavi di trovare, nel quale la tua storia si comprende, scopre il suo significato, il suo valore: la tua storia e di ogni uomo.
Eppure oggi sembra che l’uomo sia il grande accusatore di Dio divenuto il grande Assente, lo Sconosciuto: un illusione che ci distrae dal vero compito che è realizzare se stessi, farsi secondo i propri sogni, il proprio desiderio di primeggiare. Lui, quel Dio che ci hanno annunciato come Amore, in realtà è il nostro limite, il non andare oltre che ci impedisce di essere liberi.
Chissà qual è la vera illusione: quella prometeica dell’uomo che vuole strappare al divino il potere di essere senza altro legame che se stessi oppure l’incontro con una tenerezza che non vuole schiacciarti nella continua affermazione del tuo non puoi; che amandoti ti eleva, ti fa dio, partecipe di ciò di cui non è geloso custode, la sua stessa vita?
Oggi la scommessa vera non è poter fare questo o quello ma poterLo incontrare veramente per ritrovare se stessi in quel Volto umano che è il mio volto, non estraneo ma familiare. È la sfida di una Chiesa chiamata ad essere missionaria cioè a mostrare quel Volto che vive in Lei in mezzo a tanti volti, vivi perché Lui è vivo: ancora una volta è uscire dalla solitudine mai colmata dalle combriccole che si ritrovano per uno scopo comune per trovare nella comunione di uomini feriti quel Volto, insieme, non da soli. Per una compagnia che ti fa assaporare che Dio è comunione d’Amore e ogni uomo non ti è estraneo: Non è bene che l’uomo sia solo, perché l’essere dell’uomo non è solitudine ma comunione. Ritrovare questa tenerezza e donarla è il più grande piano pastorale di una Chiesa che vive in questo mondo che crede che sia Dio il suo problema perché forse nascondiamo ancora il suo Volto nei nostri non-volti, nelle nostre maschere: è la sua vera missione.