di Don Antonio De Maria

In un tempo nel quale la comunicazione avviene in tempo reale ma senza radici né riflessione che tenga conto della storia, delle radici dei fenomeni; in un tempo in cui la visibilità è diventata un demone che ha vinto quella riservatezza, quel pudore che impediva l’esposizione mediatica e il processo sommario non solo di fatti che riguardano altri ma degli stessi fatti che coinvolgono il narratore, quasi dimentico di essere corresponsabile di quanto sta raccontando davanti ad una telecamera; in un tempo in cui l’analisi dei fatti avviene sempre secondo le categorie fosche della cronaca nera, anche il narrare e il narrarsi della Chiesa subisce le stesse mortificazioni, le stesse storpiature, le stesse analisi pre-formate e de-formate con le quali si narrano i fatti di cronaca nera.

Questo modo di fare sembra aiutarci, in fondo, ad esprimere quell’atteggiamento saccente di giudizio che si carica del potere di esprimere con apparente profondità i problemi della Chiesa attuale.

In verità ciò che è più difficile è cogliere gli strumenti e la capacità di attuarli di una visione di riforma che cerchi veramente e positivamente ciò che serve alla cura, all’opera di sanificazione del tessuto ecclesiale, forse meglio di consegna all’opera santificatrice dello Spirito. Già perché la Chiesa non è un’azienda e i suoi problemi non si risolvono attraverso consulenze di esperti della finanza e del mercato ma è opera teandrica, mistero che coinvolge la Trinità nella realtà fragile dell’umano, celeste e terrestre allo stesso tempo; visibilmente troppo terrestre, misteriosamente attraversata dall’invisibile, dallo stare in mezzo del Risorto e dall’azione sorprendentemente nascosta eppure efficace dello Spirito.

L’Apocalisse ci invita sempre a stare in ascolto di cosa lo Spirito dice alle Chiese e alla Cattolica per comprendere come nell’oggi dell’ambiente mondano questo umano troppo umano possa essere segno profetico della novità della Resurrezione.

L’ascolto richiede la fede: quando ci si accontenta di ciò che bene o male si possiede; quando ci si trincera dietro le forme di un imborghesimento devoto, difficilmente si ascolta, difficilmente la fede è viva. La vita è abituata a cercare nuove forme, nuovi spazi, a spaccare il terreno per emergere ancora e darsi perché la vita stessa fluisca in altra vita e si doni: ma quando questo finisce la vita è come una bombola del gas in esaurimento fino a spegnersi del tutto.

Abbiamo rincorso, per esempio, lo spirito del Concilio, facendovi corrispondere le nostre aspettative, le nostre visioni, forse anche la nostra vanità per rincorrere facili applausi: ma uno spirito, che è la vita della carne espressa dal lavoro del Concilio stesso, concretizzato nei suoi testi (ancora oggi studiati ma come trampolino per le proprie teologie), fuori da questa carne assomiglia ad un vino scadente che ti fa entrare in uno stato di euforia fino ad addormentarti nel vuoto delle tue proprie farneticazioni.

Voglio suggerirvi una lettura, un testo che è del 1970, del professor Ratzinger e che può anche aiutarci a capire il magistero dei Papi del post Concilio, fino a Francesco.

 “ Non abbiamo bisogno di una Chiesa che celebra il culto dell’azione levando preghiere <<politiche>>.  È qualcosa di cui possiamo del tutto fare a meno. È una Chiesa che scomparirà da sola. (…) Dalla crisi attuale nascerà una Chiesa che anche questa volta avrà perso molto. Sarà più piccola e dovrà ricominciare tutto da capo. (…) Il futuro della Chiesa (…)  non verrà certo determinato da coloro che si limitano a proporre le loro ricette per far fronte alla situazione. Nemmeno da coloro che scelgono sempre la strada più comoda. (…) In positivo: anche questa volta, come sempre è accaduto in passato, saranno i Santi a plasmare in forma nuova il futuro della Chiesa: Persone che percepiscono più degli slogan che vanno di moda, che hanno radici profonde e vivono della pura ricchezza della loro fede. Ma pur con tutti i cambiamenti che si possono ipotizzare, la Chiesa troverà nuovamente e risolutamente la sua essenza in quello che è sempre stato il suo centro: la fede nel Dio uno e trino, in Gesù Cristo (…). Sarà una Chiesa interiorizzata, che non insiste sul suo mandato politico e non schiaccia l’occhio né alla sinistra né alla destra. Saprà nuovamente riconoscere la fede e la preghiera come ciò che forma il suo vero centro di gravità e tornerà a vivere i sacramenti come servizio reso a Dio, non come un problema liturgico-formale. (…) dalla Chiesa interiorizzata e semplificata che ne nascerà inizierà a fluire una grande forza. Le persone che vivranno in un mondo pianificato sotto ogni suo aspetto saranno indicibilmente sole. Quando Dio verrà completamente eliminato dal quadro, diverranno consapevoli della completa e terribile povertà dello stato in cui versano. E a quel punto vedranno la piccola comunità dei fedeli come qualcosa di completamente nuovo. Come una speranza che li riguarda; la risposta a ciò che si sono sempre tacitamente chiesti (…) la casa da cui traggono la vita e che dà loro speranza oltre la morte.[1]


[1] J. Ratzinger, Fede e futuro, Brescia 1971

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *