di Salvatore Caruso
Su un dato regionale complessivo di sostanziale equilibrio, i dati previsionali nel rapporto produzione / consumo di sangue per il 2021 a livello territoriale assegnano a Catania il triste primato negativo tra le provincie siciliane con un meno 10.496 unità di sangue. Come riportato, infatti, nel Decreto 28 gennaio 2021 del Dirigente del Dipartimento Regionale DASOE, a fronte di una previsione di 33.250 donazioni , il fabbisogno trasfusionale stimato ammonta a 43.746 unità, con una evidenza di drammaticità negli ospedali Arnas Garibaldi con un meno 4.500 e l’Azienda Policlinico – Vittorio Emanuele con un deficit di ben 7.820 unità di sangue.
Tale fabbisogno di sangue, ancorchè recuperato attraverso le azioni di compensazione intraregionale (Siracusa e Ragusa), non può non interrogare le coscienze personali e imporre una seria riflessione sulle cause che ancora ad oggi lo determinano in una dimensione così tragicamente importante.
Tra i diversi fattori che concorrono in tal senso, non può non prescindersi innanzitutto dalla complessità e dall’alto livello di specializzazione del sistema ospedaliero etneo, con una presenza significativa di reparti di emergenza ed urgenza – anche a servizio dell’intero territorio regionale – con un alto indice di fabbisogno di sangue. A questi si aggiungono i reparti di talassemia con una significativa presenza di pazienti, provenienti anche da fuori provincia, che richiedono continue e periodiche terapie trasfusionali.
Ma a questi fattori strutturali e di sistema, si aggiungono spesso disfunzioni organizzative e di programmazione che, anziché favorire e incentivare le donazioni, ne diventano da ostacoli. Fra tutti, la carenza di personale sanitario nei centri trasfusionali che ne limitano la piena funzionalità o, paradosso tra i paradossi, i ritardi e la limitata consegna dei materiali (sacche e circuiti per le donazioni in aferesi) come quella verificatesi recentemente all’Ospedale Garibaldi a seguito di un disguido temporale nella gara per l’affidamento del servizio di fornitura di tali materiali, che ha determinato la riduzione nelle donazioni ed anche la soppressione di giornate di raccolta già programmate.
Tutto questo, però, seppur rilevante, non ci esime da una più ampia valutazione sul livello di consapevolezza e responsabilità che la società e le istituzioni catanesi avvertono e manifestano riguardo i valori solidaristici e donazionali in genere e , specificatamente, riguardo la donazione di sangue. Pregiudizi atavici (la compravendita del sangue), paure ingiustificate (l’ago, la contrazione di malattie), indifferenza (non è un problema mio), si registrano ancora nelle interviste ai cittadini durante le campagne promozionali.
Bisogna, allora, partire da lontano con una azione innanzitutto educativa, che coinvolga già le scuole elementari e che, accompagnata da una capillare e costante attività promozionale da parte di tutte le istituzioni ed agenzie sociali ed educative, organismi associativi e di volontariato presenti sul territorio, contribuisca a costruire un diffuso processo culturale che innesti nelle coscienze delle persone i germi della solidarietà, della generosità e del dono, quali espressioni più alte di civiltà per una città che come Catania si considera tale.