di Padre Giovanni Calcara, o.p.
Il ricordo della festa liturgica del beato Angelico, fra Giovanni da Fiesole, Guido o Guidolino di Pietro da Vicchio (+ 1455) ci offre l’opportunità di riflettere sulla sua vita e la sua santità espressa nella bellezza delle sue opere, soprattutto nei volti “che può dipingere solo chi li ha visti” (Giorgio Vasari). Essendo invocato come patrono universale degli artisti, diventa necessario riflettere sul significato dell’arte, in particolare quella sacra, in una stagione in cui, sembra, che la Chiesa stia prendendo coscienza dell’importanza che essa assume, nella sua opera di evangelizzazione.
Come ricorda, papa Francesco, per l’uomo non è possibile vivere, senza fare esperienza della sua dimensione intima-spirituale-soprannaturale nel servizio al suo simile, alla società, all’economia, alla comunità ecclesiale.
Il beato Angelico, dipinge la santità e la bellezza di Dio, riflessa nel volto dei santi come nella natura, perché ne fa esperienza, infatti “chi fa le cose di Cristo, con Cristo deve stare sempre”.
Le lodevoli iniziative in cui è impegnata la Chiesa: inventario dell’immenso patrimonio artistico, la necessità della conservazione e del restauro, la sua fruizione e valorizzazione perché divenga risorsa, non solo economica nella sua opera di evangelizzazione non può che essere un tassello nel mosaico in cui viviamo.
L’opera del beato Angelico non è frutto solo del suo genio naturale, ma di un preciso itinerario umano e spirituale, vissuto e realizzato, nel contesto comunitario: di frate domenicano e di sacerdote, impegnato nella vita fraterna come nel governo della comunità. Prima con il beato Giovanni Dominici, uno dei promotori della riforma dell’Ordine dei Frati Predicatori, e poi di sant’Antonio Pierozzi che, egli suggerì a papa Eugenio IV come arcivescovo di Firenze che, lo avrebbe voluto, invece, in quella missione.
“I suoi racconti, semplici e lineari, modellati sullo stile degli Evangelisti. I suoi paesaggi rilevano sempre una vita interiore” come afferma Pio XII, sono l’espressione e il frutto di questa armonia della sua fede, vissuta e condivisa nella vita personale e comunitaria. Senza questo vissuto comunitario, forse, non è possibile, comprendere e definire il valore e il senso, della spiritualità del beato Angelico, per proporla all’uomo di oggi.
La vita del Dominici e del Pierozzi fu capace, di poter attrarre, il giovane Guidolino verso un discernimento, attraverso il quale l’arte e Cristo, divennero un tutt’uno e il suo ideale di vita. L’arte, e ogni altra espressione dell’uomo, nasce quindi, dall’intino e dall’esperienza che ognuno di noi vive in relazione con se stesso, Dio, la realtà in cui si trova.
Per cui, non si tratta di “ri-proporre stili artistici, magari con canoni del passato, come espressione del sacro nella vita dell’uomo di oggi” (Paolo VI), ma di saper intercettare il suo vissuto intimo, con i segni e i linguaggi che lui conosce. La crisi, dell’arte sacra, quindi è a tutti i livelli: della committenza, degli artisti, dei destinatari. Sta nella mancanza di formazione, sensibilità e rispetto per comprendere tutto quello che la natura e l’uomo, quindi Dio, propongono come vero, bello e santo nella realtà che ci circonda. E la Rivelazione, come sappiamo, è dinamica e creatrice, perché fermenta la realtà. Non congela niente, non ferma nessuna dinamica di trasformazione, ma tutto comprende e completa, per renderlo sua dimora e presenza. Così il mondo, l’uomo, l’arte. Per lui, la natura con la sua bellezza, diviene un mezzo per contemplare e tendere a Dio, suo autore.
Il beato Angelico, non si è fermato alla preghiera o all’insegnamento, ma ha vissuto la sua fede in Dio, rendendolo visibile nelle sue opere. Sul suo esempio, anche noi, saremo artefici della “bellezza che salverà il mondo!” (F. Dostoevskj).