di Don Antonio De Maria
Non voglio tediarvi con discorsetti sul Natale o sulla Messa di (Mezza-)Notte e stupidaggini simili, ma condividere con voi il senso di ogni celebrazione, di ogni festa, di ogni momento segnato nel calendario liturgico della Chiesa.
Più di duemila anni fa è accaduto un fatto, un evento che avrebbe potuto avere la normalità, la semplicità e l’insignificanza storica di ogni nascita, di ogni sofferenza, se volete, anche di ogni evento tragico che accade nel frangente spazio-temporale di un luogo e di un tempo e di cui, oltre agli immediati protagonisti, nessuno avrebbe parlato.
Ma con questo evento fa i conti la storia dell’umanità da più di duemila anni e non si può trascurare di imbattervisi, per accoglierlo o rifiutarlo; non si può nemmeno restare indifferenti.
Questo evento è la nascita di un uomo in uno sperduto villaggio di una periferia esistenziale che è diventato il centro e il vertice di ogni tempo e di ogni generazione umana.
Un suo discepolo chiama quel momento “la pienezza del tempo”, come di un evento che si attende sin dall’inizio e che è un compimento e un nuovo inizio, l’inizio nuovo della storia: il senso e la direzione di ogni vita, di ogni popolo, di ogni società in ogni parte della terra. Per noi cristiani la nascita, la vita, la morte, resurrezione di Cristo e l’invio dello Spirito, la nascita della Chiesa, le celebrazioni, le feste, i funerali, la morte e la vita, non sono momenti ma il contenuto dell’esistenza.
Quando celebriamo Natale o Pasqua per noi è un evento che coinvolge ogni aspetto della nostra esistenza e ci permette di entrare sempre di più nel mistero di Colui che è la Vita, la Luce degli uomini, l’origine e il destino di ogni bambino, di ogni giovane, di ogni donna, di ogni anziano, di ogni uomo che consegna la sua vita, non alla morte ma alla vita eterna.
Noi non celebriamo il compleanno di Gesù aspettando la mezzanotte come fanno gli uomini di questa società occidentale per brindare o far esplodere fuochi d’artificio: ogni celebrazione ci ricorda un continuo passaggio, esistenziale e non solo emotivo o convenzionale, da una condizione di tenebra, di non senso, alla rinascita di una vita piena e donata.
La festa, per i cristiani, non è una parentesi al dolore, alla sofferenza per la morte: è la certezza che la morte è nulla, perché Cristo è risorto ed è il Signore della storia.
Ogni gesto veramente cristiano esiste per cambiarti, per far crescere una vita nuova, rinnovata e piena: per questo è importante ogni momento, ogni messa. Il senso della tua gioia, del tuo dolore, dei tuoi affetti, delle tue frustrazioni, delle tue incapacità, del male che sei capace di fare e del desiderio del perdono, di un bambino che nasce o che muore prematuramente, della fatica di costruire e di una speranza che svanisce: tutto ciò che vivi è in quell’evento che trova senso, riscatto, speranza, compimento, luce e forza, destino eterno.
Se proprio volete che vi parli del Natale: in ognuna delle 4 messe previste e in tutte quelle dell’ottava, fino al primo giorno del calendario occidentale che fa iniziare il calcolo dello scorrere del tempo, Cristo mi dona l’opportunità di implorare da Lui la grazia che la mia vita rinasca e la mia speranza non si limiti a raccattare qualcosa dalla vita ma si apra al mistero dell’eternità di Dio, alla quale mi chiama, come si chiama il figlio che si ama. Se è vero che amare è desiderare che l’altro non muoia mai: solo il Figlio di Dio può donarcelo e gratuitamente. Il resto è al servizio mio perché io lo accolga.
Perciò se viviamo così il Natale, senza fissazioni sentimentali, senza tradizionalismi vuoti, senza sensi di colpa (perché solo in quest’anno siamo stati così emotivamente coinvolti nella realtà della morte, mentre prima nemmeno sapevamo quanti milioni di morti finivano la loro esistenza, volti sconosciuti) forse accadrà qualcosa di inaspettato: la Vita nascerà in noi, veramente e pienamente.
E ci diremo come mendicanti che stendono la mano desiderosi e imploranti: buon Natale, Dio nasca in te, figlio di Dio.