di Don Pasquale Munzone

Prima di approfondire il tema della “presidenza liturgica” (Ars Celebrandi), mi sembra importante accennare al dinamismo della celebrazione e al rapporto presidente – assemblea.

La liturgia infatti è rivelazione in atto, è azione di Cristo oggi, che comunica la salvezza per la mediazione congiunta dello Spirito e della Chiesa. Essa è azione di Cristo e della Chiesa: Cristo comunica la sua vita divina attraverso la sua umanità, mentre la Chiesa è presenza e manifestazione di salvezza. La celebrazione liturgica, allora, diventa simbolica nella misura in cui nei gesti umani e nei simboli agisce lo Spirito del Risorto, che riunisce tutti in sé per diventare una sola realtà. La stessa Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium ci ricorda che «la liturgia, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell’eucaristia, “si attua l’opera della nostra redenzione”, contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della Chiesa» (n. 2).

Il Concilio Vaticano II, nella grande riforma liturgica, ha voluto sottolineare a più riprese che l’azione liturgica manifesta il Christus totus, capo e membra, nel segno del presidente e dei fedeli. Lo stesso Pietro nella prima lettera parla del sacerdozio di tutta la Chiesa: «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è scelto per annunziare le opere meravigliose…» (1Pt 2, 5-9). In questo modo il popolo cristiano manifesta il proprio coerente e gerarchico ordine. Tutti, sia ministri ordinati che fedeli laici, esercitando il loro ufficio, compiono solo e tutto ciò che è di loro competenza. Il sacerdozio dei battezzati e quello ministeriale vanno equilibrati e armonizzati in uno stile rituale e sacramentale che ponga in essere la presenza di Cristo capo e membra. Guardando all’Ordinamento Generale del Messale Romano (OGMR) si evince la particolarità dei compiti e dei ministeri che sono presenti all’interno della celebrazione: il presidente, colui che sta davanti agli altri, l’assemblea, gli accoliti, i lettori, i cantori, l’animatore liturgico, i ministranti. Si desume, quindi, un’attiva e consapevole partecipazione da parte di tutti. Tale consapevolezza deve essere generata non solo da un’opportuna catechesi, ma anche da modalità celebrative, per favorire un’autentica espressione comunitaria. La celebrazione liturgica non è un contenitore di cose e non può ridursi a compitucci dati a tutti.

Difatti, «è di somma importanza che la celebrazione eucaristica sia ordinata in modo tale che i sacri ministri e i fedeli, partecipandovi ciascuno secondo il proprio ordine e grado, traggano abbondanza di quei frutti, per il conseguimento dei quali Cristo Signore ha istituito il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue e lo ha affidato, come memoriale della sua passione e risurrezione, alla Chiesa, sua dilettissima sposa» (OGMR 17).

In questa ottica si inserisce il tema della presidenza liturgica alla luce della terza edizione del Messale Romano.

Presiedere in nome di Cristo significa, anzitutto, svuotarsi totalmente di se stesso per riempirsi della dignità acquistata attraverso il sacramento dell’ordine; in altre parole, non è più lui che agisce, ma Cristo in lui (Cfr. Gal 2, 20). La liturgia non può essere, quindi, trattata da parte del celebrante e della comunità come “proprietà privata”. San Giovanni Battista è la figura emblematica del ministro che si fa piccolo per far crescere il Signore. Questa è la base del potere sacro affidato alla Chiesa da Cristo, sacerdozio di Cristo partecipato ai suoi ministri. San Cirillo di Gerusalemme ricorda che la parola ecclesìa si incontra per la prima volta nel passo in cui ad Aronne viene assegnato il ministero sacerdotale. Il presbitero presiede il popolo fedele radunato in quel luogo e in quel momento, ne dirige la preghiera, annuncia ad esso il messaggio della salvezza, lo associa a sé nell’offerta del sacrificio a Dio Padre per Cristo nello Spirito Santo, distribuisce ai fratelli il pane della vita eterna e lo condivide con loro. Pertanto, quando celebra l’eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e, nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo (OGMR 93). Duplice è quindi l’orientamento del presbitero: verso Dio e verso il popolo. Da qui due caratteristiche nel suo atteggiamento: dignità e umiltà. Ci si avvia verso un nuovo stile di presidenza eucaristica che pone in risalto un servizio pastorale al popolo di Dio perché, unito in Cristo, sia orientato verso l’alto e diventi la gloria del Dio vivente.

In questa prospettiva, allora, il presbitero vivrà la presidenza eucaristica con la piena consapevolezza di far sentire e vivere la presenza di Cristo, attraverso una percezione della responsabilità di cui si è insigniti e che si traduce in “dignità e umiltà”. La dignità si fonda sulla convinzione che la liturgia è l’azione più importante e più alta e perciò esige comportamento sereno, gesti misurati, decoro, attenzione ai segni che si compiono, vesti adatte al ruolo, voce naturale. L’umiltà è frutto della convinzione di chi si riconosce fratello tra i fratelli, discepolo della parola di Dio, che anch’egli ascolta, e suo interprete e annunciatore, con lo stupore e la gratitudine di chi ha ricevuto e partecipa ad altri un dono grande e meraviglioso da cui è stato toccato lui per primo.

Presiedere in nome di Cristo è, quindi, una grazia donata dal Padre nello Spirito Santo, che alimenta e consolida la struttura organica di tutto il corpo di Cristo attraverso la diversità dei doni e dei carismi che elargisce. Se nella Chiesa tutti hanno un compito per partecipare della sua crescita, in particolare il presbitero è chiamato a fare del Vangelo e della Chiesa la ragione della sua esistenza, attraverso una particolare e finalizzata dedizione totale della vita.

Presiedere è fonte di santificazione perché il presbitero assimilato a Cristo è “l’uomo per gli altri”, consacrandosi alla comunità nella cura pastorale e nell’azione rituale. In questa dedizione sta la sorgente della sua spiritualità e la garanzia della sua santificazione.

Il ministero della presidenza implica, pertanto, un costante ed equilibrato sforzo di mediazione, che si fa attenta alle situazioni concrete nella quale si pone ogni singola celebrazione rituale. Essa si esercita già prima di ogni azione sacra proprio perché si presiede nella vita della comunità e nell’impegno pastorale, e si esercita anche nella preparazione della celebrazione.

Alcune considerazioni pastorali circa la preparazione della celebrazione eucaristica:

  1. La presidenza liturgica si esercita già nella stessa preparazione della celebrazione. Per questo motivo il presbitero, secondo le disposizioni dell’OGMR, si faccia promotore tra coloro che svolgono un compito ben preciso o un ministero affinché di intesa si organizzi la celebrazione nelle sue varie parti. Al sacerdote, che presiede, spetta però sempre il diritto di disporre ciò che a lui compete (SC 22).
  2. È preferibile che in ogni comunità parrocchiale vi sia il gruppo liturgico che aiuti il presbitero nell’organizzare la vita liturgica della parrocchia, affinché si privilegino i vari ministeri e uffici in seno alla comunità. La promozione di una formazione liturgica diventa così un’occasione per essere iniziati ai santi misteri.
  3. È necessario favorire sempre un clima di preghiera dando maggiore risalto al silenzio, al raccoglimento in chiesa, prima e durante la celebrazione eucaristica.
  4. Colui che presiede è ministro della Parola. Con l’omelia il presbitero traduce nella vita di ogni giorno il messaggio che scaturisce dalla Parola di Dio che viene proclamata. Essa deve consistere nella spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra Scrittura, o di un testo dell’Ordinario o del Proprio della Messa del giorno. San’Agostino diceva che «il predicatore, prima di essere un uomo che parla, deve essere un uomo che prega… quando si avvicina l’ora di parlare, prima di dare la parola alla propria lingua, egli eleva la sua anima assetata per far scaturire ciò che ha bevuto e versare ciò di cui è pieno» (De Doctrina cristiana, IV, 32).
  5. È necessario curare i gesti e gli atteggiamenti corporali affinché la celebrazione risplenda per il suo decoro e la sua semplicità, in modo che si possa percepire il vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti. Come ci ricorda San Giovanni Paolo II in Ecclesia de Eucharistia: «…sento il dovere di fare un caldo appello perché, nella Celebrazione Eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà» (n. 52).

Conclusione

San Francesco ha lasciato questa esortazione ai frati sacerdoti: «Udite, fratelli miei, se la beata Vergine Maria è così onorata, come è giusto, perché lo portò nel suo santissimo seno; se il Battista beato tremò di gioia e non osò toccare il capo santo del Signore; se è venerato il sepolcro nel quale per qualche tempo Egli giacque, quanto deve essere santo, giusto, degno, colui che lui non già morituro, ma eternamente vivo e glorioso, lui, sul quale gli angeli desiderano volgere lo sguardo, accoglie nelle proprie mani, riceve nel cuore e con la bocca, offre agli altri perché lo ricevano? Badate alla vostra dignità, frati sacerdoti, e siate santi perché egli è santo. E come il Signore Iddio onorò voi sopra gli uomini, per questo mistero, così voi, più di ogni altro uomo amate, riverite, onorate lui» (Lettera a tutto l’Ordine, FF, 220-221).

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