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Sindrome di Giona, le dichiarazioni del Papa sugli omosessuali: nessuna confusione col matrimonio

PAPA FRANCESCO JORGE MARIO BERGOGLIO

di Don Antonio De Maria

Mentre non si acquietano le discussioni per il trailer di un documentario su Papa Francesco, che per farsi pubblicità estrapola e manipola le parole di un’intervista e le fa passare per la pubblicità più autorevole alla bontà dell’“amore” LGBT, – una vera falsità dal punto di vista giornalistico che nasconde anni di magistero e di dichiarazioni contrarie compresa Amoris Laetitia -, questa giornata che è successiva all’assemblea della Consulta delle aggregazioni laicali alla luce del piccolo e aperto libro di Giona.

È la storia di un profeta che non voleva profetizzare perché non capiva e non accettava la sua missione: perché Dio invece di mandare un fuoco dall’alto sulla nemica grande città, Ninive, la corrotta, manda lui ad avvisarla? Oggi si direbbe a chiamarla a conversione. Questo Dio che non punisce i cattivi e che invece li avverte, come diceva Ezechiele, perché si convertano e vivano, è ingiusto: si fa prendere per i fondelli da questi malnati di Niniviti, si preoccupa di non distruggerli, anzi da loro un tempo (40 giorni, il tempo di Dio).

Sembra la risposta a tutto questo sconquasso ideologico che strattona il Papa per accaparrarselo, quasi una sorta di sponsor, e che smuove i moralisti di sempre che credono che la Bibbia sia il manuale del buon Inquisitore, del giudice che ha fretta di mandare all’Inferno questo e quest’altro. Questo Dio ci invita a non aver fretta a giudicare, a strappare la zizzania ma ad avere compassione. La compassione che si erge muta sulla Croce ma che poi grida, come un ennesimo atto d’amore: Padre, perdona loro… Eppure molti sono scandalizzati da questo Dio che sembra ingiusto, che rinunzia ad esercitare la giustizia e che, quasi con ingenuità, afferma:” Sei forse geloso perché io sono buono?”

La bontà di Dio, non il falso e ipocrita buonismo degli uomini che cerca di accaparrarsi consensi e legittimazioni, guarda a te, alla tua fragilità, come un padre guarda il figlio intirizzito, grondare d’acqua, l’acqua della tempesta che nella sua disobbedienza poteva ucciderlo e gli porge l’asciugamano e lo abbraccia perché sente freddo, sussurandogli parole affettuose perché il figlio comprenda che non è l’amore del padre che verrà mai meno e ricominci da lì, da quello sguardo. Lo sguardo dell’amore che frena la mano della giustizia e ingoia le lacrime della compassione.

In questo tempo di paura, di difficoltà e di incomprensione per qualcosa che sfugge al nostro controllo, a partire da questo sentirsi persi, ritrovare la strada è custodire la memoria di questo sguardo e continuare a vivere per questo sguardo, per questo cuore, con i piedi per terra ed il  viso rivolto all’Amore, vivo e presente e perciò agente nella nostra vita, nella vita delle nostre comunità, nella casa della nostra comunione, in cui siamo stati generati, curati e sanati e la cui porta è sempre aperta per accogliere il figlio lontano, quando tornerà, quando vorrà tornare, sperando contro ogni speranza.

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