di Filadelfio Grasso
Viviamo in un momento di fragilità sociale che vede un rimescolamento di valori che fanno spostare lo sguardo verso ideali diversi rispetto alle generazioni precedenti e non solo, poiché tali cambiamenti avvengono sempre più in maniera repentina, seguendo mode e tendenze che mutano in un arco di tempo imprevedibile e veloce.
La venerazione ai santi è stata, nel corso dei secoli, un metodo di catechesi molto efficace per far passare i principi evangelici tra i fedeli. Attraverso la vita dei santi viene offerto, infatti, un modello da imitare, e nella loro intercessione si trova un aiuto nelle difficoltà e fragilità umane.
Il culto per il santo patrono è una delle espressioni di devozione più antiche e radicate, tanto che ha spesso interagito con la storia istituzionale, politica e sociale delle città, trovando espressione continua nella liturgia e nella religiosità popolare. Tale culto scaturisce spesso dal fatto che il santo sia nato, vissuto e abbia agito in quella località (come san Nicolò Politi ad Adrano), abbia compiuto una opera degna di essere tramandata, o perché in quella terra ha subito il martirio (è il caso di sant’Agata per Catania), o ancora perché dei suoi discepoli in quel luogo ne tramandano la memoria o ne rinnovano l’opera (è il caso dei fondatori o religiosi).
Il culto di san Placido a Biancavilla, invece, ha avuto una storia e una evoluzione particolare.
Placido visse agli inizi del VI secolo e fu discepolo di san Benedetto. La tradizione ci tramanda che in età adulta fu inviato a Messina per fondare un monastero. Nella Città dello Stretto, a causa di scorrerie piratesche, il monaco subisce il martirio assieme ad altri compagni.
Sebbene una costante tradizione tramandò le eroiche gesta di questi uomini di Dio, dei loro corpi e della loro sepoltura (complici le diverse invasioni che la città subì e la dominazione araba) si persero le tracce per molto tempo.
Oltre mille anni dopo, nel 1588, presso la chiesa di san Giovanni Battista, a Messina, a motivo di lavori straordinari, sotto l’altar maggiore fu rinvenuta una cripta dove si trovarono quelli che fino ad oggi sono ritenuti i corpi di san Placido e dei suoi compagni.
Da Messina si sparse in tutto il mondo la devozione verso san Placido. In ogni parte della Sicilia, e prevalentemente dove sorgevano monasteri benedettini, il culto per questo santo mise radici e si sviluppò.
L’abbazia di Santa Maria di Licodia, alle pendici meridionali dell’Etna, era in quel tempo una delle più ricche e influenti di Sicilia e fu facile, quindi, per l’abate del monastero venire in possesso di una reliquia del martire benedettino.
In questo stesso periodo, Biancavilla, che contava poco più di cento anni di vita, attraversava un periodo di crisi religiosa dovuta al declino del Rito Greco portato alla fine del Quattrocento dagli esuli albanesi fondatori del paese. Il vescovo di Catania, Mons. Giandomenico Rebiba, intervenne a sanare quella situazione di momentaneo disordine e, in accordo con l’abate di Licodia, Dom. Romano Giordano decise di “latinizzare” le genti di Biancavilla incrementando il culto verso san Placido e autorizzando la donazione della reliquia del braccio destro del santo, fino ad allora custodita nell’abazia licodiese.
Nel corso del XVII secolo la devozione al martire crebbe tra i biancavillesi che alla fine del secolo a lui si affidarono quando tutta la Sicilia orientale fu colpita dal terremoto. Il terribile sisma che colpì il Val di Noto il 9 e l’11 gennaio del 1693 rappresenta l’evento disastroso di maggiori dimensioni che abbia colpito l’isola in tempi storici ed è considerato il terremoto più forte mai registrato nell’intero territorio italiano. Furono gravemente colpiti tutti i centri di grande importanza economica e culturale dell’area di Catania, Siracusa e Ragusa. I piccoli centri del versante sud-orientale dell’Etna furono quasi interamente rasi al suolo. In molte località si aprirono spaccature nel terreno dalle quali, in molti casi, furono segnalate emissioni di gas o di materiali fluidi.
In questa atmosfera apocalittica, il centro abitato di Biancavilla, subì danni ritenuti lievi. La Chiesa Madre riportò delle fenditure e probabilmente si ebbe anche qualche crollo, ma non è segnalata alcuna vittima e nemmeno lesioni strutturali degne di essere registrate nelle cronache del tempo. Il periodo sismico fu molto lungo e intenso: le repliche furono avvertite per oltre 3 anni e misero a dura prova la capacità di resistenza dei sopravvissuti.
Biancavilla venne scelto come meta ideale dai tanti profughi dei paesi vicini rimasti senza casa. La popolazione crebbe fino a raddoppiarsi.
La cappella di san Placido, parte più antica di tutto l’edificio che costituisce la Matrice, presumibilmente non fu intaccata da alcuna scossa e, quindi, fu scelta come luogo di preghiera per i tanti bisognosi che erano stati testimoni di un siffatto cataclisma che venivano a invocare san Placido di concedere loro il dono di una vita nuova in quella terra.
Per questo motivo, il vescovo di Catania, mons. Andrea Riggio, che ben conosceva le sofferenze e i dolori di chi aveva subito lutti e distruzioni e che con coraggio e tenacia aveva intrapreso l’opera di ricostruzione in tutta la diocesi, nel vedere illeso l’abitato di Biancavilla, attribuisce tale prodigio alla intercessione di san Placido e il 23 settembre del 1709 lo dichiara ufficialmente Patrono e protettore di questa terra, invocando il suo nome per una costante protezione verso tutti gli abitanti del luogo.