di Giuseppe Adernò
E’ compito della scuola non “trasmettere il già pensato”, formule e contenuti disciplinari, bensì “insegnare a pensare”, ad usare la testa, a saper guardare oltre, ad osservare, a saper ascoltare e saper riflettere, mettendo in atto creatività e intelligenza al fine di tradurre gli insegnamenti in veri ed efficaci “apprendimenti” che aiutano a “modificare il modo di pensare, di sentire e di agire dello studente”.
Lo diceva anche lo storico Maestro televisivo Alberto Manzi che attraverso la trasmissione RAI dal titolo: “Non è mai troppo tardi “, ha insegnato a leggere e a scrivere a migliaia d’italiani, in un periodo di cambiamenti in cui la società italiana usciva dal dopoguerra, ed ha consentito a molti il conseguimento della “licenza elementare”, prima tappa del curricolo scolastico.
Lo ripete anche Sabino Cassese, presidente emerito della Corte Costituzionale, il quale rispondendo alla domanda di Mario Leone, giornalista de “Il Foglio”, su quali caratteristiche dovrebbe avere la “sua” scuola, risponde: “Istruire, nel senso di insegnare a pensare, a discutere, ad analizzare. Dare nozioni, ma anche spiegare come si ragiona. Aiutare a comprendere, ma anche insegnare ad esser aperti all’altrui ragionamento”.
Non è quindi un ritornello che si ripete, ma un principio e un valore condiviso che deve trovare applicazione nella concretezza dell’azione didattica.
La scuola di oggi ha codificato il percorso formativo attraverso un traguardo di competenze che descrivono “ciò che lo studente sa e sa fare” al termine del percorso.
L’attenzione alle potenzialità di cui ogni studente è portatore, impegna il docente e la scuola ad operare, attraverso l’insegnamento delle discipline per esercitare le “capacità” di ciascuno e renderle prima “abilità” e quindi “competenze” spendibili anche fuori dal contesto scolastico.
L’insegnamento, l’educazione, la relazione educativa, la progettazione didattica sono tutti “ atti intenzionali”, che impegnano il docente nel desiderio di dare risposta ad un bisogno, e per garantire efficacia all’apprendimento è necessario suscitare tra gli studenti motivazione, voglia e curiosità di apprendere, di chiedere a se stessi il perché delle cose e non basta trasmettere soltanto saperi precostituiti, infatti, solo “attraverso l’acquisizione sistematica e critica della cultura, si promuove la formazione integrale della persona, che diventa uomo e cittadino”.
Suscitare un pensiero critico, “Prima riflettere e poi parlare”, “Agire senza mai smettere di pensare”, sono formule e regole che rendono la scuola efficace ed efficiente come servizio pubblico, laboratorio, palestra e fucina d’intelligenze da coltivare e sostenere
Quella che il maestro Manzi chiamava “tensione cognitiva”, stimola la ricerca, la curiosità, il desiderio di conoscere cose nuove e guida verso l’autonomia nel “saper fare”, dando concretezza e applicazione alle competenze, anche mediante esercizi e “compiti di realtà”.
L’insegnare ad essere aperti all’altrui ragionamento di Cassese apre la porta all’Educazione Civica che quest’anno con la Legge 92/2019 ritorna come disciplina, seppure con tante difficoltà di applicazione.
“E’ la Cenerentola della nostra didattica“, dice il giurista. “e la nuova legge è un misto di troppe cose per poter avere successo e mostra tante criticità”.
Si cominciò a parlare di Educazione Civica nel 1957 al congresso nazionale dell’UCIIM, presso il Castello Ursino di Catania e dal 1958, quando il ministro Aldo Moro decise di inserire la materia all’interno del programma di Storia, se ne parla ancora cercando sempre nuove strategie.
Tanti tentativi d’innovazione e continui cambiamenti di nome: Educazione morale e civile, Convivenza Civile, Progetto Legalità, Cittadinanza & Costituzione, non hanno assicurato a questa materia di studio una propria dimensione.
Secondo Cassese la motivazione sta nel fatto che: “Non si è mai sedimentata una cultura che comprenda regole del vivere civile, princìpi del diritto, illustrazioni storiche e spiegazioni sociologiche e politologiche. La materia, nelle sue poche vere applicazioni, è stata considerata una specie di divulgazione di principi di diritto costituzionale. Una sorta di lunga lista di regole che oscilla tra diritti (tanti, forse troppi) e doveri”.
Il binomio diritti-doveri nato nel 1795, con la Dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’uomo e del cittadino, nel testo della Costituzione Italiana è declinato in molti modi dall’articolo 13 all’articolo 54 ed essendo diritti inviolabili, hanno un ruolo centrale nel vivere civile, pertanto l’insegnamento dell’Educazione civica dovrebbe nutrire proprio questi aspetti.
Le nuove Linee guida per l’avvio nell’anno scolastico 2020-2021 evidenziano “tre nuclei concettuali”: Costituzione, Sviluppo sostenibile e Cittadinanza digitale. “Sono tematiche, afferma Cassese, che dovrebbero esser presenti, ma con sviluppi molto diversi. Si può pensare che la Costituzione abbia lo stesso spazio della digitalizzazione?
Ecco perché si ritiene utile predisporre il “Portfolio delle competenze di Educazione Civica”: una scheda personale nella quale ogni studente annota per le 33 ore annue di attività svolte, le tematiche affrontate e registra come sintesi di autovalutazione: “Oggi ho compreso che …” gli apprendimenti acquisiti nei diversi interventi relativi agli ambiti disciplinari dell’educazione ambientale e sviluppo sostenibile, della cittadinanza digitale, dell’educazione stradale, alla salute, alla legalità, alla convivenza civile e alla cittadinanza attiva.
Per la scuola secondaria di secondo grado dovrebbero essere meglio trattati, anche nella prospettiva storica, i diritti dei cittadini per far comprendere ali studenti ad esempio: “Perché il Parlamento e il Presidente della Repubblica hanno durate diverse?” A che servono i partiti? Qual è la differenza tra le varie tradizioni delle forze politiche italiane? Come opera il rapporto elettori-partiti-Parlamento? ”
Sono queste domande che dovrebbero trovare una risposta, nell’azione didattica, anche attraverso lo studio di tanti altri aspetti di storia delle istituzioni e di quelle regole del vivere civile che, nella “ricerca del bene comune”, manifestano segno di vera politica.
“Insegnare e pensare” al come essere cittadini attivi e responsabili, dovrebbe costituire il baricentro della materia che, uscendo dall’impostazione mono-disciplinare, si apre ad una speciale e innovativa formula “interdisciplinare”.
La complessità di tale insegnamento trasversale sollecita una progettazione didattica diligente e accurata in linea di gradualità, di continuità e di sviluppo armonico nell’ambito dei diversi ordini e cicli di scuola, così da poter garantire, a conclusione del percorso scolastico quella completa formazione civica del cittadino attivo e responsabile che la scuola ha il compito di far conseguire.
Purtroppo le imminenti e urgenti priorità organizzative dell’avvio dell’anno scolastico, a seguito dell’emergenza Covid-19, pongono oggi in secondo piano queste tematiche, che pure sono altrettanto urgenti e funzionali per la qualità di una scuola che educa e forma il cittadino.