di Don Salvatore Bucolo
“Può la Chiesa senza Eucaristia?”. Una domanda certamente retorica, perché tutti i cristiani cattolici giustamente credono che è l’Eucaristia a fondare, alimentare e ravvivare la Chiesa. Ma allora il fatto che la pandemia attuale causata dal coronavirus sta privando tutto il popolo di Dio di partecipare direttamente alla celebrazione eucaristica, come si colloca questo fatto dentro il dogma stesso della fede cristiana? Tutti, nessuno escluso, percepiscono la paradossalità di tale situazione.
La medesima Segreteria Generale della CEI, per quanto si divulghi diversamente, in un suo Comunicato del 15 marzo a. c., ha manifestato pubblicamente il tentativo di trovare una soluzione “per evitare che venga proibita la celebrazione della Santa Messa, quasi la Chiesa nei suoi sacerdoti temesse di esporsi davanti al pericolo”.
A causa, però, della rapida e violenta diffusione dell’epidemia, per fare “la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica”, la Chiesa tutta e non solo una parte di essa, sapendo di essere una Chiesa di popolo, ha risposto con responsabilità sospendendo le celebrazioni comunitarie, ma non venendo però mai meno ad esprimere la sua prossimità “nell’apertura delle chiese, nella disponibilità dei sacerdoti ad accompagnare il cammino spirituale delle persone con l’ascolto, la preghiera e il sacramento della riconciliazione; nel loro celebrare quotidianamente – senza popolo, ma per tutto il popolo – l’Eucaristia”.
Non tutti chiaramente hanno condiviso tale scelta, dandone alcuni una lettura politica anti-ecclesiale. Che viviamo in un mondo e in una cultura prevalentemente anticristiana ne siamo a conoscenza già a prescindere dal coronavirus. Che dietro le quinte di tale decisione possa esserci anche una probabile posizione anti-ecclesiale, nulla di nuovo sotto questo sole. E allora? Non dovrebbero i cristiani muoversi per porre avanti i loro diritti e tutelare ciò che è il cuore della Chiesa, ovvero l’Eucaristia?
Guardando in giro sembra che ci stiamo dividendo come in guardia e ladri in una Chiesa più credente e un’altra che ci crede di meno. La ferita è chiaramente molto comprensibile. Una cosa, però, è il dolore di non poter ricevere la comunione sacramentale, un’altra sono i pensieri di rabbia che provengono da questa sofferenza, paragonando la nostra situazione a quella dei martiri cui era assolutamente negata la loro libertà di culto.
Non mi pare che sta accadendo questo, perché tutti i sacerdoti, di fatto, continuano a celebrare Eucaristia, affermando con più evidenza la loro mediazione sacerdotale a favore di tutto il popolo di Dio. E ogni qualvolta essi si nutrono dell’Eucaristia, lo fanno perché il popolo di Dio sia unito in una comunione che rivela al mondo la presenza di Cristo veramente risorto.
Allora, paradossalmente e straordinariamente l’Eucaristia si trova in questo momento in una condizione tale da mostrare e dimostrare, come non mai, tutta la sua forza propulsiva nel ravvivare il volto intero della Chiesa. Mi rincuora molto poter leggere su questo medesimo giornale di Prospettive un articolo del 7 aprile a. c. di don Giuseppe Raciti, il quale scrive con ferma convinzione che :
«da circa un mese ormai i nostri laici, hanno dovuto fare da soli, a casa, riscoprendosi sacerdoti della famiglia, presidenti di celebrazioni domestiche, guide di preghiera, organizzatori del culto domestico, mettendo in pratica, di fatto, quel triplice munus sacerdotale, profetico e regale di Cristo cui partecipano tramite il battesimo. Le case si sono finalmente trasformate in chiese domestiche, santuari, monasteri dove ritrovare il silenzio della preghiera in mezzo alla vita quotidiana. – Poi conclude in questo modo – Da qui, come Chiesa, dobbiamo ripartire, da questa Pasqua che ci auguriamo essere finalmente la nostra pasqua, la pasqua rinascita di tutti noi, di un corpo ecclesiale più coeso, più ministeriale in cui ciascun membro fa la sua parte, nel riconoscimento rispettoso di ruoli e competenze, evitando che la mano dica all’occhio non ho bisogno di te e viceversa».
Invece, quante volte nelle messe domenicali dei tempi cosiddetti normali (cui tutti desideriamo ritornare quanto prima), il popolo di Dio vive la comunione eucaristica in modo intimistico e personale per la propria crescita spirituale e la propria salvezza, senza alcuna minima consapevolezza di ricevere una grazia divina da donare agli altri, per comunicare l’amore di Dio lì dove quotidianamente vivono? Quanti, ad esempio, subito dopo la messa domenicale celebrata in Chiesa, vanno a trovare altre persone (che non ricevono l’Eucaristia o perché non possono o perché proprio non interessa loro oppure perché non hanno nemmeno idea di cosa sia), per far loro assaporare il gusto eucaristico nella novità del loro gesto di visita, trasmettendo nei loro cuori tanta pace e consolazione?
La parola “messa”, con cui si chiama la celebrazione eucaristica e che deriva dal congedo finale in latino “ite, missa est”, non significa “andate, adesso è la missione”? In altre parole, il pane spezzato sull’altare è dato principalmente perché ciascun membro del popolo di Dio possa spezzarsi come corpo vivente di Cristo nella vita per gli altri, e non, invece, rimanere chiusi e sterili nelle proprie case, soddisfatti soltanto di aver ricevuto il corpo eucaristico per sé ed aver assolto ad un compito cristiano.
Spesso ci si sorprende come ogni anno tanti ragazzi, fatta la cosiddetta Prima Comunione, non partecipano più alle messe domenicali, dando loro la responsabilità di non aver capito il valore vero dell’Eucaristia, quando invece essi non hanno mai visto né adulti né famiglie né genitori vivere la loro vita in modo eucaristico, diventando pane spezzato per gli altri. Negli ultimi decenni appare sempre più evidente come la vita parrocchiale converta con grande difficoltà, a tal punto da chiedersi se è lo Spirito Santo che ha perso potenza oppure la struttura ecclesiale attuale non sembra mettere in azione l’opera dello Spirito.
Certamente oggi si soffre per non poter andare in Chiesa per celebrare, ma si prova sofferenza per tutti coloro che non venuti più in Chiesa? Si soffre per i divieti di incontri e gli obblighi di distanza, ma si prova sofferenza per quante distanze create con le persone attorno? Si dimentica che non esistono solo martiri per aver celebrato Eucaristia, ma anche quelli che non hanno potuto celebrare per il bene del proprio popolo.
I fratelli carcerati non hanno potuto celebrare per anni. Quella sofferenza l’hanno offerta ed è stata comunque unita all’Eucarestia che si celebrava mentre loro non potevano parteciparvi. Le comunità cristiane appaiono, invece, oggi centralizzate negli ambienti parrocchiali e non decentrati sul territorio. Tanto è vero che alla gente che è fortemente smarrita cosa si propone? Solo lo streaming di messa in diretta della propria parrocchia? Ma non è sempre un centralizzare la vita del popolo di Dio intorno agli edifici parrocchiali? Non è forse arrivato il momento di riconoscere il tempio fatto di persone e le famiglie quali Chiese domestiche dove Cristo è vivo e presente in ogni casa? Gli stessi riti sembrano valere di più di quello che essi contengono ed esprimono. Il rischio, allora, è quello di vivere in questa situazione lo stesso modo di fare pastorale con l’unica differenza che adesso si svolge in modo virtuale con i nuovi mezzi tecnologici, ma di fatto si presenta con il medesimo registro.
“Da come vi amate vi riconosceranno”: non è forse questo lo scopo primario delle messe domenicali, le quali hanno un potenziale intrinseco per generare comunità cristiane in cui si respira all’interno e all’esterno il buon odore eucaristico della comunione? Se tale obiettivo non è chiaro, si continuerà ancora ad alimentare un sottobosco del cristianesimo, ma non i cosiddetti cedri del Libano.
E allora forse non giunge a tutti l’Eucaristia celebrata nella vuota e fredda Chiesa dal solo parroco che sull’altare in un modo sacerdotale straordinario, forse a lui finora sconosciuto, porta tutte le richieste di preghiere dei suoi fedeli ora provati dalla malattia di un loro parente ora travolti dalla miseria più tremenda per assenza di ogni piccolo sostegno, ora scossi dalla morte di un loro caro su cui non hanno potuto né dare l’estremo saluto né piangere sul letto della morte? E nel momento in cui lui si comunica, nella sua carne non diventano forse tutti, partecipi, per via misterica, dell’unico sacrificio di Cristo sull’altare? E non deriva da questa medesima Eucaristia quella anche celebrata e vissuta dai giovani sposi che nelle condizioni attuali di assoluto isolamento e totale smarrimento mondiale hanno dato alla luce il frutto del loro amore per proclamare ancora a tutto il mondo che la vita è più forte della morte e che l’amore è più forte della disperazione?
Ed ancora una volta non deriva da questa stessa Eucaristia pure quella celebrata e vissuta da mariti o da moglie o da padri o da madri che durante la settimana santa hanno dovuto separarsi in casa dagli affetti più cari per evitare di trasmettere con il loro solo respiro il contagio della malattia e, al contempo, comunicare che solo restando impalati e crocifissi in una nuda stanza è possibile comunicare più amore di quello che noi uomini pensavamo di immaginare? Ed ancora nuovamente non deriva dalla medesima Eucaristia quella celebrata e vissuta nei luoghi di grande disperazione degli ospedali da campo o da un medico o da un infermiere o da un ministro di Dio o da un consacrato o da uno sposo o da una sposa o da un cristiano, che annunzia come le ferite di ogni singolo malato sono le medesime stigmate attraverso Cristo si è fatto riconoscere da suoi per rivelare a tutti che quel Crocifisso, proprio Quello, è veramente risorto?
Può la Chiesa allora senza l’Eucaristia? Certamente no! A tutti non può non mancare la messa domenicale celebrata nelle chiese, ed è desiderio di tutti che si possa quanto prima ricominciare. Alla Chiesa, però, al popolo di Dio e ad ogni singolo battezzato, non è stata mai tolta l’Eucaristia, in quanto nessuno potrà mai farne a meno, ma, anzi, paradossalmente è stata più celebrata nei tempi, nei luoghi, nei modi più impensati, mostrando con più verità che “sine Dominico non possumus”, cioè “senza Eucaristia non possiamo vivere”, perché solo e soltanto l’Eucaristia dà bellezza e verità alla nostra vita. Possa, allora, questo tempo essere occasione di grazia per celebrare e vivere l’Eucaristia come Cristo stesso ha donato alla Chiesa Sua Sposa.