di Salvatore Borzì
Questo il titolo dell’ultimo saggio di Francesco Diego Tosto (Bastogi 2019), presentato il 6 dicembre all’Orto Botanico di Catania. Un libro assai stimolante lo definisce giustamente nel saluto iniziale all’attento e numeroso pubblico il responsabile scientifico dell’Orto Botanico Giusso Giovanpietro, docente presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Catania e ottimo e gentile padrone di casa.
Un libro destinato a rivoluzionare il rapporto con la letteratura per la moderatrice Norma Viscusi, e ad aprire una nuova strada metodologica, «mentale», ribadisce la brillante relatrice Gabriella Congiu, che con semplicità, chiarezza e profondità ha efficacemente illustrato la concezione che della letteratura sviluppa l’autore nelle pagine del libro e alla quale ha cercato di dare forma in tanti anni di insegnamento nei licei.
Per Tosto, sottolinea Congiu, scopo della letteratura è fornire, o meglio proporre risposte alle eterne domande radicali dell’uomo sempre alla ricerca di verità, del senso della vita, del dolore, del male. Essa ci interroga quindi in prima persona, spingendo a leggerci dentro, a fotografarci l’anima per scoprire la luce che siamo, sulla quale la crisi antropologica odierna rischia di mettere un tappo per impedirle di brillarci nel cuore.
Nessuna meraviglia, quindi, se in documenti ufficiali della Chiesa, su cui l’autore ampiamente si sofferma nella parte finale del libro, Papi quali Paolo VI o Benedetto XVI hanno ribadito con forza la centralità della bellezza anche nella vita del credente.
Se questa è la forza della letteratura, Tosto ha ben ragione, argomenta Congiu, nel sostenere che essa può e deve entrare in rapporto dialettico con altre creazioni dello spirito umano, come la religione, la filosofia, e confrontarsi anche con la Bibbia, che a quelle stesse domande radicali offre una risposta tanto profonda e rivoluzionaria da spingere ogni scrittore, anche e soprattutto se lontano dalla fede, a dialogare con essa, spesso testualmente citandola o riecheggiandola con richiami indiretti.
E poi c’è anche il cinema e il teatro, che dalle opere letterarie hanno spesso attinto materia e ispirazione, ma spesso allontanandosene in nome di scopi tutti personali o, in qualche caso, tradendone o travisandone più o meno volutamente il senso.
Fra i tanti esempi ricordati da Tosto la relatrice richiama quello di La terra trema di Visconti, trasposizione cinematografica de I Malavoglia, ma con un radicale «spostamento dell’asse semantico»: il naufragio del fallimento, che il Verga fonda su una visione esistenziale negativa, imperniata, come è noto, sull’impossibilità di ogni mutamento, viene da Visconti attribuito invece ad un sistema sociale che schiaccia l’individuo con la sua ingiustizia. Allora il romanzo diventa ben altra cosa.
Più complesso il rapporto tra letteratura e teatro, che spesso falsa il senso del testo, argomenta Congiu sulla base delle parole di Gabriele Lavia, citate da Tosto. Sorprendente, conclude, la relazione tra letteratura e disabilità per lo stimolo che essa sa offrire al bisogno dell’accoglienza e di trasformare la diversità in luce per sé e gli altri.
È poi la volta dell’autore che, con trascinante capacità affabulatrice e il calore della sua passione, insiste sulla dimensione religiosa della letteratura, già dallo stesso ampiamente indagata nei cinque volumi di La letteratura e il sacro, proprio per il bisogno di proporre risposte alle domande radicali, di dare corpo ad un bisogno di religiosità e spiritualità naturalmente insito in ogni uomo, anche nei non credenti, essendo questi, forse più dei credenti, alla ricerca di verità e di senso, desiderosi di trovare un punto di convergenza fra il finito e l’infinito e di ascoltare l’essenziale, oggi temuto perché ci interroga nel profondo, ci inquieta e rischia di mettere in discussione l’odierna comoda, ma illusoria, certezza di felicità.
Parlare quindi di dimensione religiosa non significa necessariamente far cadere la letteratura nel confessionale, come a torto ritengono molti critici, che in essa hanno scorto pregiudizievole odore di sacrestia, il limite dell’appartenenza ad una religione confessionale. È di certo più comodo, ma meno fruttuoso, ingabbiare in limitanti etichette l’anima degli scrittori, anche a costo di forzarne il pensiero per trascinarlo in una visione del mondo precostituita.
Tosto ritorna poi sui rapporti tra cinema e letteratura sulla scorta del Satyricon di Fellini, in cui il celebre romanzo petroniano diventa un affresco in chiave onirica del nostro tempo, e tra letteratura e teatro sulla base di riflessioni di Gianni Salvo sul legame fra linguaggio e forma poetica e di Gabriele Lavia sulla crisi del teatro e la manipolazione dei testi letterari all’atto della messa in scena.
Conclude con riflessioni sulla dialettica letteratura-disabilità, che ci interroga per una via tutta particolare sul problema del dolore, mette in crisi la concezione diffusa di normalità e ci fa riflettere sull’urgenza dell’integrazione. Ad impreziosire le profonde considerazioni di Tosto la lettura di alcune pagine dalla calda e dolce voce di Mavì Bevilacqua e le tante domande delle numerose persone presenti in sala.