di Laura Napoli
Nella chiesa di San Giuliano di via Crociferi, secondo incontro di formazione del nuovo anno pastorale dell’OESSG di Catania, Sez. “Card. Salvatore Pappalardo”. A porgere i saluti il Preside della Sezione, Dott. Sergio Sportelli alla presenza del Prof. Giovanni Russo, Luogotenente d’Onore Italia-Sicilia.
Il tema della serata è stato la missionarietà, affrontato da Don Marco Bennati, Direttore dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale Missionaria; nella sua esperienza infatti Don Marco può vantare di essere stato in Costa d’Avorio come responsabile della formazione dei giovani e degli adulti e anche in Amazzonia dal ’99 al 2010 come vice direttore dell’Ufficio Missionario della Curia arcivescovile di Milano.
«La missione – ha sottolineato il sacerdote – non è un dovere ma è una passione, frutto di un incontro. Quando ci si innamora il cuore vuole esprimere la gioia , invece i cristiani battezzati fanno fatica a parlare di Dio. La missione non nasce come un progetto ma si diffonde come un contagio».
Don Marco ha incentrato il suo intervento su due parole chiave apparentemente contraddittorie, “battezzati e inviati” , laddove la prima indica ‘far parte, rimanere la seconda invece significa uscire, dunque
«non si va in missione per ‘andare a fare’ qualche opera , piccola o immensa che sia – ha poi proseguito – ma perché Dio si serva delle nostre persone come Egli vuole, in ogni luogo. Altrimenti si rischia di ridurre le grandi opere a progetti inutili come quello dei silos della FAO per ammassare il grano in Amazzonia, terra dove non c’è grano».
«viviamo in una società senza confronto dialettico, – conclude don Marco – incentrata sul mero soggettivismo e questo atteggiamento sta entrando drammaticamente nella questione religiosa, per cui non si riesce più a vivere la fede dentro una comunità e persino le comunità tendono oggi a chiudersi nel narcisismo. Allora ».
A concludere l’incontro è il Preside Dott. Sergio Sportelli sottolineando che: «missionario non è più solo colui che parte per terre lontane, ma anche e soprattutto colui che va nelle periferie esistenziali della gente. Se in Africa, dove si muore anche per la glicemia, il missionario vive la missione come passione, ciò è possibile in virtù della gioia del vangelo (Evangelii gaudium) che nessuno ci potrà mai togliere , lontano dai proselitismi».