di Placido Antonio Sangiorgio
Il dato statistico dell’ultima indagine Doxa su religiosità e ateismo in Italia, tenuto conto della flessione europea e dell’indirizzo delle domande, non sarebbe, tuttavia, sconfortante; il cattolicesimo al Sud – in termini di ossequio e pratica – mantiene il suo primato. Se poi si considerano le isole, la fede dichiarata è pressoché totale.
Eppure verrebbe da chiedersi se tra professione di fede e pratica evangelica il rapporto a speccho rimanga invariato.
Si ha il sospetto, spesso, che il punto nodale si collochi nell’autenticità: chi sceglie un cammino di fede nelle regioni del Nord, lo fa tra le varie opzioni, in piena libertà e, non di rado, con coraggio.
Dalle nostre parti si assiste alla diffusione di una scelta di fede quale rito sociale, una sorta di passaggio obbligato nel corso della vita. Non a caso, i primi sacramenti e il rito del matrimonio, sono l’occasione (quasi una franchigia) per grandi celebrazioni laiche, sfarzi e lustrini che poco condividono con lo spirito religioso. Non ci diciamo, è vero, nulla di nuovo. Ma è altrettanto vero che una chiesa locale possiede il grande potenziale di poter operare nella fase in cui esperienza religiosa e formazione della persona sono talmente dirimenti che possono dare un’impronta ideale e d’azione alla vita.
Se analizzassimo la percentuale di abbandoni, in termini di presenza in chiesa, dopo la cresima, ossia quando manca soltanto il matrimonio al completamento del cursus sociale il dato potrebbe essere allarmante. Da qui il chiedersi cosa manchi alla chiesa per tenere vivo il suo orizzonte oltre l’adolescenza e in cosa venga meno la sua capacità di parlare ai cuori e alle menti liberamente.
Rileggersi, certo, ma a partire da cosa?
Innanzitutto un linguaggio nuovo che sappia leggere i tempi e distanziarsi dalle mode. Il giovanilismo, talvolta tentato anche nei catechismi, non sempre è stato efficace.
In un contingente che cerca maestri, orientamenti, l’esempio è ciò che indirizza oltre la verbosità. Quella concretezza di azione che è – di per sè, professione di fede. Grazia, catechismo, spirito santo significano ancora qualcosa per un millennial divorato dai nuovi media e dalle identità vicarie?
Ci sarebbe anche da interrogarsi su quale indirizzo, che identità, assuma la chiesa siciliana dopo la stagione dell’antimafia, assurta a questione più che nazionale, e in un momento in cui quella catanese vive un frangente di percepibile interesse, anche socio-mediatico frutto dell’impegno autentico di alcuni suoi presbiteri.
Un tema recente è stato, in qualche misura, quello di una presa di posizione per i lavoratori e cassaintegrati. Ma un ritornare all’etica del lavoro, a partire da quel pubblico che è spesso discrimine tra le due italie, sarebbe già una pista.
D’altronde lo stesso Pierre Bourdieau ha bene evidenziato come il credo e lo spirito religioso siano uno dei traini, non trascurabili, dell’economia e della società.
Autenticità, linguaggio, esempio sono di per sè cura all’essere dell’uomo nel mondo: indirizzo e approdo senza tempo.