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Solenne pontificale in onore di Sant’Agata

Omelia. S.E. Cardinale Francesco Montenegro (Arcivescovo di Agrigento).

 

Un saluto fraterno assieme alla mia gratitudine a Mons. Gristina per l’invito e l’opportunità che mi dà di trascorrere con voi questa stupenda festa. Un saluto deferente alle autorità presenti e un saluto cordiale a tutti voi amici catanesi assieme agli auguri più sinceri perché questa città e questo territorio che si riconosce in S. Agata, sua protettrice, possa essere nel tempo, come lo è stato, faro luminoso di civiltà. Lasciate che, subito, rivolga il pensiero mio e della Chiesa di Agrigento alle sorelle e ai fratelli dei paesi dell’Etna che sono stati colpiti dal terremoto. Sentano il nostro affetto e la nostra solidarietà e noi agrigentini preghiamo e vogliamo fortemente con voi che la vita di tutti ritorni alla normalità e la serenità prenda finalmente il posto dell’amarezza e della paura. La festa di S. Agata, che insieme condividiamo, ci dà la possibilità di riflettere su alcuni aspetti importanti della vita cristiana. La Chiesa, presentandoci come esempi luminosi le persone che hanno vissuto in modo santo, lo fa non solo per invitarci alla devozione, ma perché sorga in tutti i credenti il desiderio di imitarli nel vivere secondo i valori del Vangelo. La devozione, infatti, senza imitazione è in-completa. Guardiamo S. Agata, confrontiamoci con lei, che amiamo e veneriamo, per comprendere meglio il nostro cammino nella vita cristiana. La prima lettura ha raccontato dei sette fratelli perseguitati insieme alla loro madre. Loro, piuttosto che andare contro Dio, preferirono morire. Non si piegarono al potere; non rinnegarono la loro fede; non tradirono l’amore del Dio al quale si sentivano profondamente legati. Nella seconda lettura, Paolo aggiunge: “Ci presentiamo con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse…come afflitti ma sempre lieti, come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto”. Infine nel Vangelo Gesù invita i suoi a non avere paura di coloro che uccidono il corpo ma di temere, piuttosto, chi può causarci la rovina eterna. Essere col cuore pieno di amore per Dio e fermi nel tempo della prova, coraggiosi, forti, senza paura, sono le caratteristiche del credente. La storia di S. Agata è molto simile a quella raccontata nella prima lettura. Il solito prepotente, profittando del suo potere, ha cercato di imporsi su di lei in un modo che offendeva il Vangelo. Agata coraggiosamente ha reagito; si è opposta per non tradire il suo Signore e non voler svendere la sua fede; non si è tirata indietro nemmeno quando i carnefici si sono accaniti contro il suo corpo indifeso e fragile. Si è mostrata, lei ancora giovane, donna coraggiosa e forte. Santi, anche se di altri tempi, sono sempre attuali e continuano a essere maestri per noi. Sono come la scia luminosa che Dio traccia nel tempo perché non perdiamo mai la direzione giusta che porta a Lui. Il coraggio e la testimonianza di Agata mette, probabilmente, in discussione un certo nostro modo di vivere la fede. Noi spesso pensiamo di essere buoni cristiani perché preghiamo, qualche volta frequentiamo i sacramenti e andiamo in Chiesa. Ma non ci viene in mente che per esserlo è necessario anche lottare per una società più giusta, preferire e cercare la trasparenza o interessarci dei poveri e dei migranti, mostrare rispetto e offrire amicizia a chi è disprezzato, o essere disponibili verso il parente o il vicino dì casa in difficoltà o dare più tempo alla moglie o al marito o ai figli o ai genitori Queste cose sono strettamente legate alla fede, anzi sono la prova del nove di essa (come quando a scuola la facevamo per verificare l’esattezza delle operazioni matematiche). Non basta dirsi credenti, bisogna essere credibili e lo si è quando si è coerenti e si vive la propria vita, qualunque ruolo occupi nella società, secondo ciò che il Signore chiede nel Vangelo. Per esempio, non si può dire di essere amici di Dio se non si sanno amare i fratelli. Noi riusciamo forse a farlo perché, anche senza pensarci, abbiamo trasferito nella religione, ciò che facciamo nella vita di ogni giorno: il formalismo, l’esteriorità, l’apparenza. Pensiamo che basti tenere a pareggio i conti con Dio e rispettare qualche norma religiosa, per ottenere il bollino blu di buon cristiano, Agata ci dice che non è così. Anzi è la Bibbia a dirlo: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me”. A Cristo non interessano solo le cose che facciamo, ma guarda come le facciamo, cioè quale cuore mettiamo nel farle. La fede non c’è solo quando si conoscono le cose di Dio, ma quando lo lasciamo entrare nella nostra vita. La

fede non è un’inquilina comoda e tranquilla; credere, infatti, non è facile. La fede non si vive solo in chiesa ma soprattutto nella vita; si gioca allo scoperto, nelle case, lungo le strade, negli uffici, nelle scuole. Gesù ha detto: “Chi si vergognerà di me, anch’io mi vergognerò di lui davanti al Padre mio”. Agata, che ha professato il suo credo sino a donare la vita per Dio, ci ricorda le parole di Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, angoscia, la persecuzione, la farne, la nudità, il pericolo, la spada? … Nulla ci separerà dall’amore di Dio”. Come Agata, dobbiamo avere il coraggio di andare controcorrente in una società in cui ciò che conta è il potere, il denaro e il piacere; una società, la nostra, che pur definendosi “cristiana” non sempre sa o vuole reagire dinanzi alla diffusione della cultura della morte! Pensiamo ai mali che affliggono la nostra terra di Sicilia, dalle varie mafie alle tante forme di ingiustizia sociale, dalla violenza, che si fa contro l’ambiente al lavoro nero o allo sfruttamento degli operai, dal pizzo alle estorsioni, dai costumi disonesti alle tante forme di corruzione che inquinano il vivere sociale, Il coraggio di Agata deve spingerci a essere più coerenti, più forti, più decisi, più determinati nel dire “no” alle logiche di morte per schierarci col Vangelo, costi quel che costi. Nella nostra martoriata Sicilia, quando il popolo ha ab-bassalo la testa è stato schiacciato e addomesticato nella sua voglia di futuro, nelle prospettive da offrire alle giovani generazioni, nella ricerca di un bene più grande e duraturo. Quando, invece, con forza e con grandi sacrifici, ha rispettato la libertà, i valori cristiani e umani, e ha esercitato la fede come bene prezioso, ha fatto enormi passi in avanti. In questa nostra drammatica fase storica come cristiani abbiamo bisogno di rialzare la testa; abbiamo bisogno di coscienze libere che sappiano far sentire la loro voce rivendicando la dignità della vita umana in ogni sua forma e denunciando ciò che non funziona. Ci rendiamo conto come le nostre città, piccole e grandi, si vanno svuotando. Le forze migliori, i giovani, abbandonano la nostra terra in cerca di un futuro migliore; come credenti, che sentano la responsabilità di una fede che non può non diventare azione e responsabilità attiva, dobbiamo fare la nostra parte, interessandoci delle cose dell’uomo e del sociale, dando il contributo di pensiero e di azione, per permettere a tutti di accedere a uno sviluppo proporzionato alle tante potenzialità della nostra terra. Il Vangelo ci vuole con le mani giunte ma anche con le maniche sbracciate, e con gli occhi aperti. Non possiamo neppure pregare a occhi chiusi per evitare di distrarci, perché dobbiamo presentare a Dio quello che accade attorno a noi per dirgli non ciò che Lui deve fare ma ciò che noi intendiamo fare. Ci chiede di andare contro corrente in una società che sta mettendoci l’uno contro l’altro, sta dividendo il mondo in due, Se sentiamo l’orgoglio di appartenere alla razza di Dio, per saperlo riconoscere in ogni uomo soprattutto se povero, sia che cerchi il cibo nei cassonetti della spazzatura, sia che venga col barcone da lontano. Un saggio domandò al suo discepolo: “Dimmi, quando termina la notte e inizia il giorno?”. Il discepolo rispose: “Quando si riesce a distinguere un agnello da un cane?, “un cespuglio da un albero”? “un uomo da una donna”. Il saggio rispose di no. Il giovane si arrese e chiese al maestro la risposta. Il saggio disse: “Quando vedi sul volto di un uomo o di una donna il volto di tuo fratello o di tua sorella, è allora che termina il buio della notte e inizia la luce del giorno”. Viviamo da cristiani, perciò, che come Cristo e come Agata, si fanno riconoscere come gli amici di Dio perché scandalizzano coi gesti dell’amore. Per intenderci, non basta gridare che c’è buio, se vogliamo che finisca, occorre che qualcuno accenda la luce. E tocca a noi. Chiediamo al Signore di prendere sempre la direzione giusta, quella stessa di Agata che l’ha portata a glorificare Dio fino alla fine. Ci aiuti lei e interceda per noi, per questa chiesa di Catania e per la nostra terra di Sicilia, perché non manchino uomini e donne coraggiosi, che siano testimoni dei Signore della vita e dell’amore al quale va la nostra lode e la gloria, oggi e sempre. Amen.

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